Volontariato

Una Mole di poveri diavoli

Di giorno affollano le vie del centro, gli orti della periferia e le mense di carità.Di notte i rifugi e i dormitori. Hanno poco più di 30 anni,sono immigrati con moglie e figli.

di Silvia Pochettino

Rannicchiati nei loro pochi stracci sotto i portici del centro; come unica compagnia, il bottiglione. O nascosti in baracche di fortuna negli orti abusivi della periferia, da cui escono solo per ?fare il giro? delle mense della città. Oppure ai semafori, a mostrare un cartone sporco con su scritto ?Non ho lavoro, aiutatemi?. Sono migliaia. E non siamo a Calcutta o Rio de Janeiro, ma a Torino, una delle più industriose e provinciali città italiane. Proprio qui il popolo degli homeless, i senza fissa dimora, è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale. Non esistono statistiche precise, com?è facile immaginare, ma tutti i centri di accoglienza della città hanno registrato un aumento vertiginoso delle richieste. Come spiega padre Stefano, della Mensa del Povero di via S. Antonio, gestita dai frati francescani (una delle cinque mense più grandi della città): «Negli ultimi cinque anni siamo passati da 60 a 300 pasti al giorno, poi abbiamo dovuto istituire il numero chiuso perché non riuscivamo più a rispondere a tutte le richieste. Ogni giorno restano fuori dalla porta decine di persone; cerchiamo di dare a tutti qualcosa, almeno un panino, ma a volte non ce la facciamo. Abbiamo anche dovuto creare un tesserino di riconoscimento per evitare che alcuni ne approfittassero a spese degli altri». Simile l?esperienza della casa di accoglienza Sermig di Ernesto Olivero, che nell?89 offriva ospitalità a 3 persone per notte, oggi si è dovuto organizzare in modo professionale, con due dormitori per un totale di 200 posti notte. Si sono moltiplicate anche le case di accoglienza gestite dal Comune (solo l?anno scorso sono stati aperti due nuovi dormitori, anche se uno è poi stato dedicato esclusivamente ai profughi kosovari) per un totale di circa 500 posti. «Ma sono cifre assolutamente inadeguate», sostiene con decisione Lia Varesio, fondatrice della Bartolomeo & C, associazione di volontariato impegnata da vent?anni nel recupero dei barboni. «Le persone costrette a dormire per strada ogni notte sono diverse migliaia. E quando, in inverno, il termometro scende sotto zero, molti di loro non ce la fanno. Abbiamo molte morti sulla coscienza in questi anni». Homeless, straniero e con famiglia Ma come si spiega una così forte crescita dei disperati nella città dell?automobile? Colpa dell?invasione degli immigrati irregolari, dicono alcuni. Ed è certamente vero; infatti quasi l?80% della popolazione dei dormitori oggi è costituito da stranieri, perché «un immigrato, soprattutto se marocchino, ha difficoltà enormi a trovare un alloggio anche quando ha un lavoro regolare e una famiglia», spiega Flavia Mulé dell?Ufficio stranieri e nomadi del Comune, che nel 1998 ha registrato oltre 16.000 colloqui con persone in difficoltà. Ma non è solo l?immigrazione ad aver fatto lievitare i numeri. Gli italiani che vivono per strada, negli anfratti della città, superano i 1200, secondo gli stessi dati del Comune. Sono malati psichici, etilisti, tossicodipendenti, disoccupati, o più semplicemente persone contro cui la vita si è accanita in modo particolare. «È solo un caso se non ci siamo noi al posto loro», sostiene Annamaria Merlino, volontaria in una delle case di accoglienza della San Vincenzo. «La maggior parte dei cosiddetti ?barboni? sono persone un tempo assolutamente normali; laureati, sposati, con lavori qualificati. Poi un trauma particolare, la separazione dalla famiglia, una malattia, la perdita del lavoro. E inizia una spirale negativa da cui è difficilissimo uscire senza aiuto». Bruno, giornalista barbone Come Franco, ex-carabiniere, tre figli, lasciato dalla moglie in modo traumatico, comincia a bere e perde il lavoro. Lo hanno trovato per strada i volontari della Bartolomeo & C che non parlava più, defecava in un angolo del suo cartone. Oggi si guadagna da vivere con piccoli lavoretti nella casa di accoglienza dell?associazione. Oppure Bruno, laureato, giornalista («ce l?ho ancora scritto sulla carta d?identità», mostra con orgoglio), la cui storia contorta lo porta da Napoli a Milano fino a Torino, in un susseguirsi di solitudini sempre più drammatiche. E nel popolo della strada si trovano sempre più giovani, come spiega Dino Gallo, dell?Ufficio senza fissa dimora del Comune. «Si pensi che l?età media nei dormitori maschili è di 33 anni, in quelli femminili addirittura di 25. Si tratta soprattutto di tossicodipendenti, o immigrati in cerca di lavoro. Un fatto nuovo è anche la forte crescita del numero delle donne, fino a qualche anno fa quasi totalmente assenti dalla strada e oggi circa il 20% della popolazione dei dormitori». Straniere coinvolte nel giro della prostituzione, ragazze madri, donne con mariti violenti. «C?è stata un?esplosione del fenomeno femminile anche a seguito del decreto legislativo 18 della legge 40 che prevede il permesso di soggiorno e assicura la tutela per le ragazze che escono dal giro della prostituzione e denunciano i loro protettori», precisa Flavia Mulé. «Sono state molte le donne che, visto uno spiraglio per uscire dalla loro condizione, hanno tentato questa strada, ma naturalmente hanno bisogno di protezione, non hanno i documenti, devono seguire un processo di recupero e reinserimento che spesso è molto lungo. Così le comunità di accoglienza si intasano». Ci sono poi i malati mentali; un?altra categoria drammaticamente in crescita: «Disagi psichici e depressioni sono in aumento», racconta Giacomina Tagliaferri del dormitorio di via Marsigli, che da quindici anni ha avviato un lavoro di coordinamento con i servizi sociali e di accompagnamento personale degli utenti, «e il problema è esploso dopo l?approvazione della legge 180 e la chiusura dei manicomi. Molte di queste persone non sanno dove andare, le strutture alternative sono poche e inadeguate». Una spirale negativa da cui è difficilissimo uscire senza aiuto. Proprio qui sta il problema. Le categorie dei più emarginati tra gli emarginati (secondo la definizione della Bartolomeo) sono le più difficili da raggiungere dai servizi sociali, perché spesso non sono in grado di rivolgersi da soli a un ufficio pubblico, o non lo vogliono fare perché la ritengono un?umiliazione. Così precipitano in una degradazione crescente. «La variabile cruciale è la durata dello stato di senza casa», sostiene Antonella Meo, ricercatrice all?Università di Torino, in una sua interessante tesi sulle ?Carriere di povertà a Torino?. «Oltre un certo periodo, in media due-tre anni, si instaurano dei meccanismi di adattamento alla condizione di homeless e di ridefinizione della propria identità da cui è molto difficile tornare indietro». Prigionieri di un labirinto «In questa condizione ti senti invischiato», racconta Salvatore, cliente fisso di mense e dormitori. «Non ti viene voglia di fare niente, perché quando ci sei dentro è come un labirinto. Tu giri e giri e non trovi mai la via d?uscita. Allora ti lasci andare, perdi te stesso, e anche se ti guardi allo specchio non vedi più la tua faccia, vedi un?altra persona, solo un?ombra».


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