Anziani
Una misura per lo 0,7% dei non autosufficienti non basta a fare un riforma
Entro il 15 marzo il governo vuole arrivare all'approvazione definitiva del decreto che attua la riforma dell'assistenza per la non autosufficienza. Un testo che oggi prevede 22 ulteriori atti e che è sotto le attese e i bisogni della popolazione, sia per le risorse stanziate sia per il grado di innovazione prevista. Serve aprire un dibattito pubblico, senza "welfare slang"
La riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti? Si può dare di più. Si tratta di una riforma attesa da quasi 25 anni, che riguarda la vita di milioni di persone: 3,8 milioni di anziani non autosufficienti, 10 milioni considerando anche familiari e caregiver.
Il Governo l’ha presentata con grande enfasi: un miliardo di euro per la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti, con una nuova misura sperimentale che – parole della stessa presidente del consiglio – «aumenta del 200% l’attuale indennità di accompagnamento».
Peccato che le cose non siano esattamente così: prima di tutto perché gli 850 euro di assegno di assistenza che si aggiungono, nella sperimentazione biennale, ai 531 dell’attuale assegno accompagnamento corrispondono ad un aumento del 150% e non del 200%. Ma soprattutto perché l’aumento riguarderà appena 25/30mila persone, per un solo biennio, e non tutti gli anziani non autosufficienti: per accedervi bisognerà essere non autosufficienti, over80, con una condizione assistenziale gravissima (tutta da definire) e con un Isee sotto i 6mila euro. La nuova prestazione universale cioè riguarderà non tutti i non autosufficienti ma appena lo 0,7% di essi (sono 3,8 milioni i non autosufficienti che ci sono in Italia). Oppure – stringendo il campo – il 2% del milione e mezzo di italiani che hanno già l’accompagnamento.
Si può fare di più, quindi, per varie ragioni e le settimane da qui al 15 marzo saranno cruciali per migliorare una legge tanto attesa e tanto necessaria. Ne abbiamo parlato mercoledì 14 febbraio nel webinar “Riforma non autosufficienza: il momento della verità” (qui il link per rivedere la diretta) in un dialogo con Franco Pesaresi, Azienda pubblica servizi alla persona di Jesi; Franca Maino, Università degli Studi di Milano; Eleonora Vanni, Legacoopsociali; Luca Degani, Uneba Lombardia; Anna Lisa Mandorino, Cittadinanzattiva; Dario Di Vico, giornalista.
22 ulteriori atti previsti
La prima ragione è che il decreto legislativo approvato dal governo lo scorso 25 gennaio e ora all’esame delle commissioni parlamentari non è il decreto attuativo che ci si aspettava. Non è cioè un atto che dà concreta attuazione alla legge 33/2023, ma appunto un decreto legislativo che in larga parte riscrive la legge delega approvata un anno fa. Il decreto cioè anziché mettere a terra e avviare la riforma disegnata dalla legge 33, prende tempo, prevedendo ulteriori 22 atti, fra decreti attuativi e linee guida, per renderla concreta la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Non solo, il decreto odierno compie passi indietro rispetto alla portata innovativa della riforma disegnata dalla legge 33.
Prestazione universale? Solo per lo 0,7% dei non autosufficienti
Secondo punto, la sperimentazione della prestazione universale, che ha risorse limitate (300 mln nel 2025 e 200 mln nel 2025), temporanee (solo per un biennio) e che permettono di coinvolgere una platea molto ristretta. È una sperimentazione, ci sta. Però si inserisce un requisito di accesso legato all’Isee e si va quindi a perdere quell’universalismo che deve avere una misura destinata alla non autosufficienza e che in passato è sempre stato strenuamente difeso da tutti. Quando l’abbiamo sdoganata questa cosa? Inoltre, una sperimentazione ha senso nella prospettiva di sperimentare una misura che si pensa, in prospettiva, di estendere: ma per estendere la sperimentazione e garantire 850 euro mensili a tutti gli attuali anziani percettori dell’indennità di accompagnamento servirebbero 14,3 miliardi annui contro i 300 milioni stanziati oggi, e 10,2 miliardi se ci si limitasse ai soli over 80. L’estensione della sperimentazione quindi è palesemente insostenibile.
Quello che manca
La terza ragione va al di là del tema delle risorse. Quello che più preoccupa è il disegno del futuro dei servizi per la non autosufficienza per i prossimi due o tre decenni. Una riforma delle risposte che il nostro Paese dà ai bisogni degli anziani non autosufficienti è necessaria e urgente. Ma la riforma tanto attesa al momento è più timida e meno innovativa non solo di quello che servirebbe e che le famiglie attendono, ma anche di quello che nella legge delega c’era scritto.
È una riforma sotto le attese, per esempio, là dove non disegna una nuova domiciliarità, che non sia solo l’allargamento delle risposte esistenti (inefficaci, insufficienti, inadeguate). È una riforma sotto le attese là dove non struttura quell’integrazione tra sociale e sanitario tanto necessaria e tanto auspicata, lasciandola ancora una volta alla buona volontà e agli auspici. È una riforma sotto le attese là dove non prende una strada per immaginare una nuova residenzialità.
Lo hanno evidenziato le organizzazioni (60) raccolte nel Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza e il Forum del Terzo settore: «Il testo del decreto che stiamo attentamente esaminando – ha detto per esempio Vanessa Pallucchi – contiene infatti elementi sicuramente positivi ma, anche in considerazione delle risorse non adeguate attualmente previste, non sembra avere la portata attesa per anziani, non autosufficienti e loro familiari».
Ovviamente ci sono anche aspetti positivi nel decreto: il fatto che si semplifichi l’accesso all’assistenza, con la valutazione multidimensionale è uno dei punti di forza del decreto (ne ha parlato nell’incontro Anna Lisa Mandorino).
Tre questioni cruciali
È un’occasione storica, per fare una riforma storica, da non sprecare. Interessantissimi a questo proposito i tre spunti di Dario Di Vico, che ha portato sia le sue riflessioni di osservatore attento delle politiche di welfare sia la sua testimonianza di caregiver.
Il primo riguarda la visione del governo e della maggioranza sul welfare e in particolare sull’universalismo. «Sappiamo che non disegna la protezione scoiale, ma non è venuta fuori una elaborazione che ci aiutasse a capire qual è la visione sull’universalismo: ci crede? Come si può riformarlo? Non è un elemento di poco conto nel confronto». Secondo tema, l’assistenza domiciliare. «Mi sembra negativo se non emergessero elementi di riforma su questo piano, perché le “risposte” attuali – di fatto, nella maggior parte dei casi, una badante H24 – sono una semplificazione. Ci sono passato io e anche quando chiedo ad altri quali soluzioni hanno trovato, emergono tutti i nodi problematici: è una semplificazione che non ci fa fare passi in avanti». Terzo tema, quello che Di Vico ha chiamato il problema del «welfare slang»: dinanzi a un tema che riguarda davvero pressoché tutte le famiglie italiane, non è possibile che i soggetti interessati alla riforma «non sappiano nemmeno che questi ragionamenti sono in corso». Un dibattito pubblico sull’argomento è necessario e urgente e presuppone anche lo sforzo per uscire dal “welfare slang”.
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