Non profit

Una manager a Telethon

Francesca Pasinelli è il direttore generale scelto da Montezemolo

di Franco Bomprezzi

Già direttore scientifico della Fondazione, ha un solido passato nel profitUna donna al vertice operativo di Telethon. Il nuovo direttore generale è Francesca Pasinelli, milanese, già protagonista per dieci anni, dal 1998 al 2008, dello sviluppo della più grande fondazione per combattere le malattie genetiche. Una scelta forte, chiara, strategica: si presenta così il nuovo presidente di Telethon, Luca Cordero di Montezemolo, che raccoglie il testimone di Susanna Agnelli. Una decisione, la sua, annunciata nel corso dell’ultimo consiglio di amministrazione della fondazione, del quale fa parte anche la Pasinelli, colta – così ci dice – di sorpresa. Francesca è un vero manager della ricerca scientifica, con un’esperienza di quindici anni maturata nel mondo profit delle multinazionali farmaceutiche, prima di scegliere, la prima volta, nel 1998, il non profit di Telethon. Come direttore scientifico di Telethon, tanto per dire, ha inventato il «Progetto Carriere», con il rientro di cervelli dall’estero, culminato nella creazione del Dulbecco Telethon Institute. Adesso era impegnatissima in un progetto di grande importanza, mirato al cuore delle malattie orfane, come direttore generale della divisione Q-rare della Dompè (di nuovo profit), da due anni. Ma il richiamo di Telethon è stato più forte: «Ovviamente in azienda sono dispiaciuti», racconta Pasinelli, «ma hanno capito perfettamente lo spirito che mi ha spinto a scegliere Telethon». La sfida è tornare in un momento di svolta, che Francesca Pasinelli non esita a definire “epocale”. «Siamo passati da essere un’organizzazione per il finanziamento della ricerca biomedica con la prospettiva ancora lontana di una cura per alcune patologie, a trovarci in prossimità della effettiva realizzazione di alcune terapie. È questa la promessa che dobbiamo mantenere dopo aver creato così grandi aspettative. Ma l’ordine di grandezza di ogni singolo piano di sviluppo per arrivare alla fruibilità della terapia è enorme: nel caso della Scid (le immunodeficienze combinate gravi, ndr), ad esempio, si tratta almeno di sei milioni. Cifre enormi che evidentemente dovrebbero essere sottratte al monte della ricerca per le altre malattie».
«Dovremo decidere in che direzione procedere», spiega, «se tentare di aumentare la raccolta fondi, convincendo i donatori rispetto a questa urgenza, oppure coinvolgere tutti gli attori che tradizionalmente si occupano di questo, dal governo alle industrie farmaceutiche. Non è più tempo di una chiacchiera generica sulle malattie rare, perché ogni malattia è a uno stadio diverso della ricerca e richiede dunque interventi differenziati, mirati. Sarà questo il compito, difficile ma esaltante, che ci attende».


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