Leggendo la Storia africana, e in particolare il vissuto dei grandi padri del “Panafricanesimo”, come il ghanese Kwame N’Krumah, anche noi occidentali potremmo attingere a un pozzo di esperienze e conoscenze illuminanti. Per comprendere la lungimiranza del loro pensiero, è sufficiente leggere “Africa Must Unite”, pubblicato da N’Krumah nel 1963 e ora anche in lingua italiana grazie agli Editori Riuniti. “Attualmente – scriveva N’Krumah facendo riferimento allo scenario della guerra fredda – molti Stati africani indipendenti si stanno muovendo in una direzione che ci espone ai pericoli dell’imperialismo e del neocolonialismo. Ci occorre, perciò, una base politica comune per l’integrazione delle nostre politiche di programmazione economica, di difesa delle relazioni estere e diplomatiche. Questa base di azione politica non richiede la violazione dell’essenza della sovranità dei singoli Stati africani”.
La determinazione di N’Krumah a realizzare questo “sogno africano” fu tale che inserì addirittura il progetto dell’unità africana nella costituzione ghanese. Ma perché non ha funzionato il federalismo tanto agognato da N’Krumah? La grande responsabilità di negoziare l’emancipazione dei territori coloniali, ricade in gran parte proprio sui nazionalisti presenti in questo o quel Paese. Quando i governi europei decisero di smembrare i loro imperi in Africa, nessuna voce si oppose nei movimenti nazionalisti africani. I fatti di quegli anni provano che le élite locali furono addirittura complici di questa frammentazione territoriale che vanificò l’unità politica del continente. Accecati com’erano dal vento del nazionalismo, le prime classi dirigenti africane erano convinte che questo tema sarebbe potuto diventare materia di discussione solo quando le loro nazioni avrebbero conseguito la piena maturità, non prima. Allorché si presentò la storica opportunità della Conferenza di Addis Abeba nel 1963, i capi di Stato e di governo africani, dopo una lunga discussione, nel corso della quale emersero idee contrapposte, sancirono, come base della nuova unità, il principio del “rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dello Stato” (in altre parole nessuno poteva interferire negli affari interni di un Paese, anche in caso di colpi di Stato o dittature), nonché quello dell’ “intangibilità delle frontiere” ereditate dal colonialismo, cioè lo status quo! Nacque così, segnata da un peccato originale, l’Organizzazione dell’Unità Africana (Oua). Sta di fatto che, oggi più che mai, l’Africa ha bisogno di un rinnovato Panafricanesimo e dunque di un federalismo continentale, anche se i leader politici sembrano esserne convinti fino a un certo punto. La stessa Unione Africana, nata sulle ceneri dell’Oua, a cavallo tra il 1999 e il 2001, non è riuscita finora a colmare le lacune di sempre, in termini di autofinanziamento, sostenibilità e coesione.
Purtroppo il federalismo, quando nasce con un forte radicamento col territorio, poco importa se nazionale, regionale o provinciale, parte col piede sbagliato. Solo chi ha una visione aperta al dialogo e all’integrazione può gettare le basi per un cambiamento. Una lezione, quella impartita da N’Krumah, che vale non solo per l’Africa, ma anche per l’Europa, e dunque anche per noi italiani.
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