Non profit

Una lezione moderna sul mercato e sul welfare

Le riflessioni del ministro Maurizio Sacconi sull'Enciclica

di Redazione

Il Papa propone la solidarietà e la fiducia reciproca come valori economici. Che sono più efficienti della regolazione In un tempo segnato da cambiamenti epocali e da conseguenti incertezze, l’Enciclica di Benedetto XVI concorre significativamente ad orientare la coscienza delle persone e la responsabilità dei decisori – credenti e non credenti – circa i modi con cui costruire, oltre la crisi, una lunga fase di crescita sostenibile, a misura di tutte le persone e di tutti i popoli.
Essa ripropone ad un mondo disorientato di ripartire dalla persona nelle sue esigenze e nelle sue straordinarie potenzialità come nelle sue proiezioni relazionali, dalla comunità familiare a quella territoriale.
Essa stabilisce innanzitutto un nesso necessario tra il riconoscimento del valore della vita e il grado di vitalità economica e sociale in ciascuna società. Se prevale una visione scettica della vita si genera inevitabilmente una minore propensione allo sviluppo non solo per le conseguenze della bassa natalità sui consumi e sulla capacità produttiva ma anche per il rattrappimento indotto dal relativismo valoriale. E ciò dà un significato ineludibile, ancor più in una stagione di grande depressione, ai temi della così detta bio – politica ovvero ai nodi della regolazione sulla creazione della vita e sul confine tra la vita e la morte.
L’Enciclica riconosce le potenzialità della scienza e delle tecnica ma, rigettando la presunzione per cui l’essere umano possa essere artefice assoluto del proprio destino, ci ricorda opportunamente che non tutto ciò che è scientificamente possibile è per ciò, automaticamente, eticamente accettabile.
L’uomo è – secondo il Pontefice – votato allo sviluppo per cui chi non crede in esso esprime sfiducia nell’uomo e in Dio. La persona prevale sulla natura anche se è doveroso preservarne l’equilibrio. Il mercato non è fisiologicamente destinato a generare una quota di esclusione sociale alla quale debba necessariamente provvedere l’intervento correttivo dello Stato. Un mercato efficiente ha bisogno di solidarietà e di fiducia reciproca – ovvero di coesione sociale – per funzionare. Insomma, le forme più compiute del mercato sanno promuovere l’emancipazione di tutti e si avvalgono della giustizia distributiva per riprodurre in una sorta di circolo virtuoso le ragioni della crescita.
Questo mercato appare realizzarsi, nelle parole di Benedetto XVI, più ancora che in forza di una esasperata regolazione, in un contesto che esalta la libertà responsabile delle persone fisiche e giuridiche, la pluralità delle forme di impresa, il ruolo in sussidiarietà dei corpi intermedi.
La dottrina sociale della Chiesa conferma così la fiducia nell’economia sociale di mercato che sa dare valore alle persone nel lavoro, apprezza – diremmo noi laicamente – il capitale umano e in tal modo genera tanto competitività quanto inclusione sociale. E ciò è tanto più vero nel momento in cui la nostra società deve saper competere nell’economia della conoscenza nonostante il vincolo rappresentato – almeno nel medio termine – dal declino demografico.
Spesso la visione assistenzialistica e paternalista del tradizionale welfare state ha condotto alla sua insostenibilità finanziaria e alla sua inefficacia verso il bisogno di autosufficienza delle persone. L’antidoto alla deriva di questo modello è rappresentato proprio dalla rete di famiglie, piccole comunità, associazioni, imprese sociali, volontariato che alimenta il senso di responsabilità civile e il desiderio del dono.
La proposta della presidenza italiana del G8 per una detax in favore delle società bisognose, non solo soccorre le carenze dei bilanci pubblici indeboliti dalla crisi ma sollecita analogamente comportamenti responsabili che aiutano le comunità più ricche a ritrovare la perduta vitalità.
Sono tutti impulsi che ci consentono di constatare una rinnovata egemonia culturale della Chiesa sulle esauste ideologie che non hanno saputo né prevedere né prevenire la grande crisi come non appaiono ora capaci di indicare le vie di uscita.

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