Non profit

Una lezione dal Bangladesh: la “mutua dei poveri”

L'ha fondata un missionario italiano

di Redazione

Mentre Barack Obama prova ad assicurare agli americani l’assistenza sanitaria gratuita sfidando l’opposizione delle lobby farmaceutiche, nel poverissimo Bangladesh, dove lo stipendio medio di un insegnante è di 60-70 euro al mese, un missionario, padre Giulio Berutti ha creato qualcosa che assomiglia alla nostra mutua: un’assicurazione sanitaria per i meno abbienti. Destinatari i soci delle «banche di risparmio e credito» (Credit Union), di cui è direttore. A parlarne è la rivista “Mondo e Missione” nel numero speciale di Novembre dedicato all’enciclica sociale “Caritas in Veritate”, dal titolo “Go(o)d economy. Non di solo Pil vive l’uomo”, con testimonianze, storie, interviste e commenti da tutto il mondo. Riportiamo alcuni stralci dell’articolo a firma di Piero Gheddo.

Decollata due anni fa, la “mutua dei poveri”, prevede il ricovero ospedaliero per i membri delle Credit Union e i loro familiari, in virtù di un accordo con l’ospedale diocesano St. Vincent, fondato nel 1957 da un altro padre del Pime, Antonio Bonolo. In Bangladesh le strutture ospedaliere sono governative, c’è un ospedale circa ogni 100 km; ma vitto, medicine, interventi, analisi sono a pagamento. Chi si ammala e non ha risparmi da parte, cade nel vortice del debito: alle spese vive per le cure, si aggiunge la perdita di giornate lavorative. Per un piccolo agricoltore o un bracciante è un problema insolubile. L’accordo col St. Vincent (dove la degenza costa circa tre volte meno degli ospedali governativi e delle cliniche private) prevede che ogni assicurato paghi l’equivalente di 5 euro l’anno, più mezzo euro per ogni giorno di degenza in ospedale, oltre agli interventi chirurgici e alle medicine. Tutto il resto è addebitato alla mutua diocesana.

Dice padre Giulio: «Nel primo anno di sperimentazione (2007-2008) si sono iscritti alla mutua 567 soci con 876 familiari a carico. Al secondo anno si sono iscritti 1538 soci con 3026 familiari (per un totale 4564 assistiti). Le spese sono coperte dagli interessi di un fondo che sto raccogliendo da vari donatori, tra cui anche la diocesi di Udine. L’anno prossimo gli iscritti saranno molti di più, perché l’idea solo da poco sta facendo breccia fra i nostri soci, che sono circa 15mila».

A Dinajpur le Credit Unions sono state iniziate dai missionari del Pime negli anni Venti, poi riprese negli anni Cinquanta; ma sempre fallivano per motivi culturali e l’inesperienza dei missionari. Nel 1991 il vescovo di Dinajpur, Theotonius Gomes, incarica padre Giulio Berutti di monitorare l’iniziativa e nel 1996 lo nomina direttore delle “banche dei poveri”. Padre Giulio si informa, studia e capisce che abituare i tribali al risparmio per restituire il prestito vuol dire rivoluzionare la società.

Il successo è dovuto a due principi. In primo luogo all’educazione dei risparmiatori attraverso corsi, riunioni, raduni. Occorre far capire e accettare le nuove norme con pazienza e insistenza. In secondo luogo al controllo costante e alla supervisione. La tentazione di approfittare dei prestiti per risolvere a breve scadenza problemi familiari, di villaggio, personali, è forte, mentre il prestito deve servire a stimolare la produzione di nuova ricchezza. L’unico modo per vincere questa tentazione è di far capire a ogni socio che la banca controlla tutto attraverso la supervisione. Oggi la diocesi di Dinajpur ha tre supervisori diocesani che sono incaricati di visitare mensilmente le Credit Union e nel raduno mensile che fa il comitato di gestione della banca della parrocchia si verifica il corretto andamento, vigilando per prevenire eventuali abusi. Una volta l’anno viene svolto il controllo fiscale e redatto il bilancio annuale amministrativo. L’altra chiave importante è la partecipazione: l’assemblea dei soci a livello parrocchiale vede la presenza de i delegati dai villaggi che decidono come dividere il guadagno.

Sotto il profilo strettamente economico, va ricordato che i piccoli prestiti offerti dalle Credit Union prevedono un tasso di interesse del 12% all’anno, molto più basso di quello che fanno le banche (22-24%) e meno della metà di quello praticato dalla Grameen Bank, che arriva a pretendere il 28%. «Scopo delle banche tradizionali – sottolinea Berutti – è il profitto; il nostro è di aiutare i poveri, soprattutto le donne, stimolandoli a diventare produttivi col loro lavoro. L’iniziativa della Grameen Bank viene dall’esempio delle missioni cristiane, cattoliche e protestanti. Yunus poi ne ha fatto una vera banca, ma in Bangladesh è criticato per l’eccessiva rigidità verso chi non è in grado di restituire i prestiti gettando nella disperazione i poveri più incapaci o imprevidenti».

(di Piero Gheddo)

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