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Welfare e lavoro

Una filiera etica per uscire dai ghetti e ribellarsi ai caporali

In Puglia e Calabria le associazioni NoCap e Chico Mendes portano avanti un progetto di inclusione lavorativa, sociale ed alloggiata destinato ai braccianti migranti per farli uscire dagli insediamenti informali e liberarsi dallo sfruttamento. «Il 95% di loro riesce ad uscire dai ghetti e a trovare lavoro nel settore agricolo con regolare contratto» spiega Yvan Sagnet, che nel 2011 diede vita a Nardò al primo sciopero dei braccianti stranieri

di Emiliano Moccia

Tina viveva in strada, vittima di tratta e sfruttamento. L’incontro con l’associazione NoCap le ha cambiato la vita. A lei e alla sua famiglia. Perché oggi Tina, che arriva dalla Nigeria e vive insieme ai suoi due figli, è la prima donna bracciante agricola a guidare un furgone anti caporalato. La mattina, dopo aver lasciato i piccoli a scuola, a bordo del furgone passa a prendere i suoi colleghi di lavoro per andare a lavorare in campagna, nel pieno rispetto degli orari di lavoro, dei contratti, della dignità. Per Yvan Sagnet non ci sono dubbi. Quella di Tina Agbonyinma è fra le storie più significative che meglio raccontano il senso dei progetti messi in campo da NoCap, nato come movimento per contrastare il caporalato in agricoltura e per favorire la diffusione del rispetto dei diritti umani, sociali, e della sostenibilità ambientale. «La persona viene prima del prodotto». Lo sa bene Sagnet, che ha conosciuto sulla sua pelle il peso ed il dolore della parola sfruttamento.

Yvan Sagnet e Tina Agbonyinma

Era il 31 luglio del 2011 quando insieme a centinaia di altri lavoratori, organizzò a Nardò, in Puglia, il primo grande sciopero dei braccianti stranieri in Italia contro lo sfruttamento dei caporali e dei padroni. Era studente in Ingegneria delle Telecomunicazioni a Torino e per pagarsi gli studi decise di passare l’estate a raccogliere i pomodori. Un’esperienza, quella a Masseria Boncuri, che gli permise di entrare in contatto con tanti altri migranti, braccianti agricoli, storie di sfruttamento e riduzione in schiavitù da cui trovò la forza di ribellarsi. E di dare vita ad una filiera etica che «mette al centro i lavoratori, le aziende agricole, i supermercati ed i consumatori» evidenzia il presidente di NoCap. Il caporalato, fino ad allora poco conosciuto dall’opinione pubblica ma molto praticato, è oggi diventato in Italia reato grazie alla legge 199/2016 che modifica l’art 603 bis del Codice Penale.

Un gruppo di braccianti impegnati in un’azienda agricola

Da qualche anno NoCap insieme all’associazione Chico Mendes attraverso il progetto “Spartacus” sta portando avanti in Calabria e Puglia «interventi di contrasto allo sfruttamento, di prima accoglienza, di inserimento lavorativo, di orientamento legale, di formazione professionale, di apprendimento della lingua italiana, di ottenimento del permesso di soggiorno e di promozione della filiera etica che ci stanno dando risultati molto importanti» spiega Sagnet. «Grazie al nostro intervento il 95% delle persone con cui operiamo riesce ad uscire dai ghetti e dagli insediamenti informali presenti in queste due regioni. Purtroppo c’è una parte di loro che a volte rientra nei ghetti. Anche perché quello della casa è un problema molto importante, perché anche quando hai un regolare contratto di lavoro è difficile che qualcuno decisa di fittare l’abitazione a un bracconate straniero».

Grazie al nostro intervento il 95% delle persone con cui operiamo riesce ad uscire dai ghetti e dagli insediamenti informali presenti in Puglia e Calabria

Yvan Sagnet, presidente di NoCap
Al centro della foto Yvan Sagnet con Alcuni braccianti coinvolti da NoCap e Chico Mendes

NoCap e Chico Mendes operano nel ghetto di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, per quanto riguarda la Puglia, e nelle zone di Rosarno, della Piana di Sibari, di Corigliano-Rossano, per la Calabria. «In questi anni abbiamo messo in piedi un sistema, in collaborazione con le aziende agricole che aderiscono al nostro progetto di inclusione, che permette ai braccianti continuità lavorativa, di spostarsi nelle varie regioni coinvolte in base alla stagionalità e poter operare sempre. Ad esempio, finisce la raccolta dei pomodori in provincia di Foggia e si spostano in Calabria per la raccolta delle arance. Sempre garantendo loro regolari contratti di lavoro ed abitazioni dignitose, anche con il supporto di enti ecclesiastici là dove non riusciamo a trovare strutture per i progetti».

Un gruppo di lavoratori impegnati presso un’azienda agricola

In questi primi quattro anni di progettualità, quindi, «tra la Calabria e la Puglia siamo riusciti ad inserire 1.500 lavoratori, che hanno avuto un regolare contratto di lavoro grazie alla nostra rete. Mediamente, ogni anno, riusciamo anche ad inserire da gennaio a dicembre nelle varie stagioni e nelle varie aree di Sicilia, Campania, Puglia e Calabria circa 150 persone. Abbiamo coinvolto una ventina di organizzazioni di produttori in questo percorso a cui sono affiliate circa 300-350 aziende. Numeri importanti, che si affiancano alla commercializzazione dei prodotti etici garantiti dal bollino NoCap, rilasciato alle imprese agricole e di trasformazione dopo apposite verifiche effettuate dagli ispettori dell’associazione NoCap che è poi possibile acquistare nelle catene dei supermercati che ci danno fiducia. Un lavoro reso possibile dalla continua presenza dell’associazione Chico Mendes che attraverso i loro operatori accompagna i braccianti in tutto il percorso, dall’uscita dai ghetti all’inserimento lavorativo nelle aziende che assumono i migranti sottratti al caporalato con contratti nazionali regolari».

«Ė un modello di intervento che dà vantaggi a tutti gli attori coinvolti: lavoratori, aziende agricole, consumatori e supermercati

Yvan Sagnet, presidente di NoCap
Tina Agbonyinma nel furgone con cui accompagna i braccianti a lavorare in campagna

Pomodoro, ciliegie, uva, pesche, bergamotto, ortofrutta, frutta stagionale, albicocche, arance, clementine. Una varietà di prodotti che garantiscono ai produttori un prezzo giusto per i loro prodotti e ai lavoratori il pieno rispetto dei loro diritti, a partire dall’applicazione dei contratti collettivi del lavoro. «Quello che da diversi anni portiamo avanti nei territori» evidenzia Sagnet «è un modello che va replicato in tutti quei luoghi, nei territori, in cui si registrano situazioni di sfruttamento lavorativo. Lo Stato italiano dovrebbe renderlo strutturale, quale best practice presa d’esempio anche da diverse realtà internazionali». Non è un caso se nel novembre 2016, Yvan Sagnet è stato insignito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei braccianti agricoli.


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«Ė un modello di intervento che dà vantaggi a tutti gli attori coinvolti. I lavoratori traggono vantaggi perché escono dai ghetti, vivono in abitazioni dignitose, lavorano senza stress e caporali, hanno i contratti dalle aziende. Le imprese agricole hanno un vantaggio grazie al bollino NoCap da un punto di vista economico, perché iniziano a vendere i loro prodotti anche nella nostra rete e aumentano il fatturato, e da un punto di vista dell’immagine, come aziende etiche che si differenziano dalle altre. Il consumatore beneficia di vantaggi, perché finalmente può acquistare dei prodotti che non derivano dallo sfruttamento ma da realtà che garantiscono diritti e dignità dei braccianti. Ed infine» conclude Sagnet «anche i supermercati sono contenti, perché c’è richiesta di questi prodotti provenienti da una filiera etica e rispettosa del lavoro».


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