Famiglia

Una figlia anch’io

«Ho dovuto lottare contro tanti pregiudizi. Mi prendevano per un’irresponsabile. Ma alla fine ho avuto ragione. Claudia per me è una vittoria contro l’ignoranza.

di Cristina Corbetta

«Per i medici e i ginecologi una donna disabile non ha diritto alla sessualità e alla maternità. È triste doverlo riconoscere, ma l?ambiente medico è intriso di disinformazione e di pregiudizi; e le eccezioni sono davvero rare». È durissima, l?accusa di Maria Castellano, quarantunenne romana, mamma della piccola Claudia, cinque anni. Un?accusa che deriva, oltre che dalla conoscenza del mondo della disabilità (la Castellano è presidente di una cooperativa che si occupa di integrazione dei portatori di handicap), anche da un?esperienza vissuta. Maria è affetta da tetraparesi spastica; e ha voluto, cercato, avuto un bambino. Nonostante la sua disabilità; e ?nonostante? i medici. Signora rinunci «Ho lottato tutta la vita per i miei diritti», racconta, e credevo di essere in un certo senso vaccinata contro le difficoltà; ma devo dire che, quando, con mio marito, abbiamo deciso di avere un figlio, eravamo ben lontani dall?ìmmaginare gli ostacoli che avremmo incontrato. Le difficoltà iniziano ancora prima della gravidanza: «Avevo studiato il mio caso clinico», spiega la dottoressa, che tra l?altro collabora con il professor Vezio Ruggerì della facoltà di psicologia all?Università La Sapienza di Roma, «e sapevo con certezza che il mio tipo di disabilità non avrebbe avuto alcuna influenza sullo sviluppo del feto. Però tutti i medici a cui mi rivolgevo mi dicevano la stessa cosa». «?Da un punto di vista ginecologico lei è a posto, ma non ci prendiamo la responsabilita della salute del nascituro; in realtà non siamo in grado di sapere se la gravidanza può nuocere a lei o al bambino?. Insomma, mi facevano capire che rinunciando a rimanere incinta avrei evitato tanti problemi; a me, e anche a loro». Sono parole che Maria si sente ripetere una, due, tante volte; al punto che anche le sue sicurezze iniziano a vacillare. Ma poi resta incinta, e proprio quando tutto sembra andare per il meglio, la gravidanza si interrompe spontaneamente al secondo mese, per motivi che nulla hanno a che vedere con la disabilità. Per Maria è una prova durissima: «Sono caduta in una profonda depressione: vedi, mi dicevo, avevano ragione i ginecologi, la disabilità non consente una gravidanza normale». Poi la svolta; Maria trova un ginecologo che la tratta «prima come una donna e poi come una disabile»; che la rassicura, e che la cura, visto che la precedente interruzione di gravidanza ha lasciato qualche problema. E dopo un anno, Maria è di nuovo incinta. «Ho vissuto questa gravidanza con un atteggiamento ambivalente: una parte di me era orgogliosa, si sentiva forte e aveva piena fiducia nelle rassicurazioni del mio medico. Ma un?altra parte soffriva di tante paure e di sensi di colpa. Quello che mi avevano detto gli altri ginecologi, e cioè che la gravidanza potesse essere nociva per me e per il bambino, mi tornava in mente tante volte. Avevo poi la paura, insensata, che potesse nascere un bambino down. Così continuavo a fare analisi cliniche, ecografie. Ma non riuscivo a tranquillizzarmi del tutto». Alle paure per la salute del bambino si aggiungono le difficoltà ?sociali?. Una donna con il pancione ispira simpatia, tenerezza; ma una disabile incinta è guardata con diffidenza, disapprovazione, sospetto: «Una volta me l?hanno detto in faccia: ?Che cosa ti è venuto in mente di fare un figlio in quelle condìzioni. Nessuna persona di buon senso lo farebbe?». Al settimo mese, il ginecologo decide per il parto cesareo; la tensione muscolare provocata dall?avanzato stato di gravidanza è infatti tale da consigliare l?intervento. E nasce Claudia: piccolina, ma bellissima. E soprattutto sana. Fine dell?incubo? Non ancora. La bambina viene colpita infatti da una forma di setticemia; e allora tornano i dubbi, le paure, i sensi di colpa. Che durano fino a quando, finalmente guarita, la piccola viene dimessa e può tornare a casa con i suoi genitori. «Mi chiedo cosa sarebbe stato di me come donna e come madre se non avessi incontrato un medico che si è comportato in modo ben diverso da tutti quelli che avevo consultato prima Provo rabbia nel pensare che per certi ginecologi la donna disabile è solo un ?problema? da rimandare al settore handicap, un ?soggetto? di cui si devono occupare neurologi, fisiatri e ortopedici, e non certo ostetrici». La piccola Claudia oggi è qui, a testimoniare la lotta della sua mamma contro l?ignoranza e i pregiudizi. «La bambina ha accettato molto bene i miei limiti, che per lei sono solo una mia ?caratteristica?. E mi vuole bene, un bene ?normale?. Quando mi chiedono se non si sente diversa per avere una mamma che ha delle difficoltà nel movimento e nella parola, racconto sempre un fatto successo non molto tempo fa: l?ho vista piangere, e le ho chiesto il motivo di tanta disperazione: ?Mamma?, mi ha detto, ?piango perché- non riesco a camminare come te?». L?unica cosa cui fare attenzione Dalla sua lotta e dalla sua esperienza, Maria trae spunto per un appello alle donne nella sua situazione: «Siate pronte a lottare, non scoraggiatevi, non fatevi spaventare da medici con tanti pregiudizi». L?unica cosa da verificare veramente è che «la disabilità non sia di origine genetica. Anch?ìo, che ho lottato tanto, non me la sentirei di fare un figlio sapendo che c?è la possibilita o la probabilità che sia disabile; di far nascere un bambino che dovrà guadagnarsi minuto per minuto il suo diritto alla vita in un mondo che fa tanta fatica ad accettare la diversità». Quando il disabile è lei Secondo i dati Istat, in Italia ci sono 41 mila donne non vedenti, 21 mila sordomute, 86 mila insufficienti mentali e 190 mila invalide motorie di cui 25 mila su una sedia a rotelle. Se a questi dati si aggiungono le donne con invalidità gravi tipo diabete, cardiopatie, epilessie, malattie renali si arriva a una cifra di 865mila donne disabili. È partendo da queste cifre che nei primi mesi del 1998 un gruppo di lavoro insediato presso il Ministero per le pari opportunità ha redatto il Manifesto delle donne disabili, sulla traccia del più ben noto manifesto del gruppo di lavoro e del Forum europeo sulla disabilità, adottato a Bruxelles nel 1997. Il gruppo italiano, costituito da donne di sedici associazioni che si occupano di disabilità, ha messo nero su bianco 18 raccomandazioni su altrettanti settori di interesse prioritario per le donne disabili, tra cui il diritto alla vita sessuale, il diritto di usufruire dei servizi socio-sanitari, il diritto di accedere a tutti i livelli nell?ambito dell?istruzione, del lavoro, della politica. Tra le richieste, quella di istituire presso il Dipartimento per le pari opportunità un osservatorio sulla disabilità: richiesta che fino ad oggi non è stata accolta.


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