Famiglia

Una famiglia in adozione per ricreare la comunità

A Udine l'associazione Time for Africa sta avviando un progetto di adozioni culturali che unisce tra loro le famiglie dei quartieri più marginali, per creare coesione sociale e favorire lo sviluppo dei legami sociali tra i cittadini

di Veronica Rossi

La cultura si fa strumento per creare comunità, nel progetto che l’associazione Time for Africa ha promosso nella sua città, Udine. L’iniziativa è già stata sperimentata negli scorsi mesi ma è in partenza ufficiale questo settembre. La chiave per mettere in relazione le persone sono i sostegni culturali a distanza, tramite i quali una famiglia ne “adotta” un’altra – in particolare i bambini – per farle vivere esperienze a teatro, al cinema o in altri eventi in zona. “Lo scopo è quello di creare dei legami”, racconta Umberto Marin, presidente del sodalizio, “unendo tra loro delle famiglie e supportando la coesione sociale”.

Questo progetto ha radici profonde, che risalgono al 2019; è da allora, infatti, che Time for Africa lavora in due quartieri di Udine, considerati, nell’opinione comune, “pericolosi”. Il primo è Borgo Stazione, luogo di arrivi e di partenze, dove l’amministrazione del sindaco Fontanini ha aumentato la presenza delle forze dell’ordine proprio per le preoccupazioni riguardo all’ordine pubblico. Il secondo è il quartiere Aurora, una specie di dormitorio, in cui vivono 4500 persone – di cui il 16% è straniero –, ma mancano servizi culturali e ricreativi. “Abbiamo contribuito a creare reti di associazioni locali”, continua Marin, “e ad attivare collaborazioni coi servizi sociali, a organizzare eventi e realizzare percorsi di partecipazione con gli abitanti del luogo”.

L’impegno di Time for Africa in questi quartieri, quindi, si è tradotto in diversi progetti di welfare generativo. I volontari dell’associazione, però, si sono subito accorti di un bisogno fondamentale delle famiglie in situazione di difficoltà, che va oltre il sostegno materiale: la necessità di costruire relazioni e rapporti amicali, di essere partecipi e attori della vita quotidiana della comunità. Da qui è nata l’idea di utilizzare la cultura come chiave per avvicinare le persone. “Il contrasto alla povertà educativa non deve essere delegato solo alle scuole e ai servizi sociali del Comune”, chiosa il presidente, “bisogna che sia anche una responsabilità condivisa degli abitanti della città, che possono diventare un aiuto per i propri concittadini che vivono realtà più complesse e meno stimolanti”.

Chi deciderà di rendersi disponibile per un’adozione culturale dovrà prendersi l’impegno di partecipare assieme ai beneficiari ad almeno otto uscite all’anno, dal cinema al teatro, passando per concerti, conferenze e musei, senza dimenticare le biblioteche e le ludoteche. “Una delle questioni che abbiamo dovuto affrontare è come far incontrare gli affidatari e i destinatari”, dice Marin, “così abbiamo aperto un dialogo con l’Azienda sanitaria e con i servizi sociali che presidiano i quartieri di cui ci occupiamo; abbiamo instaurato una relazione stabile, per cui loro ci segnalano le famiglie che vivono un po’ più di difficoltà e che avrebbero bisogno di un percorso che le aiuti ad avere maggiori relazioni all’interno della comunità”. Gli incontri saranno orchestrati con rigore: una volta abbinate le persone giuste, gli interessati avranno un primo contatto – eventualmente alla presenza di un assistente sociale – nella sede dell’associazione. Durante il percorso, è previsto un follow up continuo, attraverso chiamate e riunioni di controllo.

Anche gli erogatori di servizi culturali sono coinvolti nell’iniziativa. “L’anno scorso abbiamo creato anche una sorta di biglietto sospeso per il teatro per chi non ha risorse per acquistarne uno”, aggiunge il presidente, “in collaborazione con il Css, Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia. L’intenzione, però, è quella di creare delle convenzioni, in modo che le famiglie coinvolte nel progetto abbiano degli sconti nei luoghi o negli eventi di cultura”.

Negli scorsi mesi, sono avvenute le prime adozioni di prova. Lo stesso Marin, assieme a sua moglie, è entrato in contatto con una famiglia e ne ha portato i bambini di cinque, sette e nove anni ad alcune iniziative. “Quando mi hanno parlato del progetto mi è subito piaciuto”, racconta Arianna Obinu, docente universitaria di lingua italiana L2 e di lingua araba che ha partecipato ai primi test, “e ho deciso di mettermi in lista per diventare adottante”. La donna, così, ha conosciuto il bimbo di una famiglia residente nel quartiere Aurora, Brandon. Una volta l’ha portato a una mostra, ha scoperto che è bravissimo a disegnare. Ha conosciuto anche i genitori, perché – dice – loro sono una parte importante dell’iniziativa. “Se mi verrà proposto lo farò di nuovo”, conclude la docente, “e lo sto proponendo anche ad alcune mie colleghe: si tratta davvero di un’esperienza arricchente per tutti”.

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