Famiglia
Una famiglia curda si racconta. Omar e Leila, odissea senza Itaca
Migliaia di dollari pagati ai mafiosi.3 figli persi sulla spiaggia. Navi che imbarcano acqua. Ed un bimbo di 3 mesi appeso al collo. Così hanno viaggiato i protagonisti di questa storia.
Se Omero fosse tra noi, canterebbe delle peripezie di donne e di uomini attraverso terre sconosciute, per le acque dell’Egeo, fino a toccare le sponde d’Italia. Carrette del mare colme di gente ammassata non sono una vista meno epica delle navi degli achei, Omero ne converebbe. Il poeta oggi saprebbe rendere immortali la pena, la paura e la speranza che guidano queste persone verso l’idea di un futuro migliore, così come rese immortale l’aspirazione di Ulisse a tornare alla propria casa.
Ma al posto degli aedi questa umanità oggi deve accontentarsi di telegiornali e di disegni di legge.
Omar e Leila, con i loro sei figli hanno fatto questo viaggio due anni fa; sono simili alle famiglie recentemente sbarcate a Catania. La stessa provenienza, la stessa storia. Quando partirono il figlio maggiore aveva 17 anni, il minore tre mesi; le figlie avevano quindici, quattordici, otto e sette anni.
Un’epopea che si ripete ogni giorno e che nessuno metterà mai in versi.
Da dove siete partiti ?
Omar: Da Zaku, una cittadina irakena al confine con la Turchia. Un giorno di aprile del 2000, mio fratello e un nostro cugino sono venuti a dirci di un loro amico che conosceva dei turchi che avevano una nave, e pagando avremmo potuto andare in Europa.
Il prezzo?
Omar: Ottomila dollari a persona. Ma i bambini con meno di 10 anni valgono metà persona, e per i neonati non si paga.
Sono circa 48 mila dollari, nel vostro caso. Avevate tutti questi soldi?
Omar: No. Io vendevo frutta e facevo il falegname o il muratore se c’era lavoro. Ho dato loro 7 mila dollari, tutto quello che avevamo, con la promessa che trovato un lavoro in Europa avrei pagato il resto.
Quando è iniziato il viaggio?
Omar: La mattina dopo
Così in fretta?
Omar:E perché aspettare? Cosa cambiava?
Cosa vi siete portati con voi?
Leila:Coperte per dormirci sopra, una tanica d’acqua e una borsa con i pannolini per il neonato. Dovevamo attraversare le montagne per raggiungere la Turchia. Abbiamo camminato per tre giorni. Tutti abbiamo avuto fame tranne Amin che attaccavo al seno.
Dove siete arrivati?
Omar:In un piccolo paese turco. Ci aspettava una macchina che ci ha portato in una specie di grande casa isolata. Lì c’erano almeno 150 persone come noi, famiglie curde irakene o turche. Siamo stati lì per un mese. Non dovevamo assolutamente uscire. Ogni tre giorni venivano questi mafiosi a portare le provviste.
Chi era questa gente?
Omar:Non so, non li capivo quando parlavano. Forse turchi, arabi, o albanesi. Ci facevano intendere che non dovevamo aspettare senza fare domande. Ad ogni tappa del viaggio c’erano persone differenti. Non voglio parlare di loro.
Ricordate le persone che hanno fatto il viaggio con voi ? Di cosa parlavate?
Leila:Con gli altri curdi irakeni si diceva “Chissà com’è l’Europa?”, “Cosa faremo lì?”. Ma non parlavamo molto, ognuno stava con la sua famiglia.
E poi?
Omar:Una sera sono arrivati dei camion e ci hanno caricati. Una cinquantina per camion, tutti in piedi, schiacciati l’uno contro l’altro. Abbiamo viaggiato così per otto ore. Il camion sobbalzava continuamente, non si respirava.
Leila:Marian e Sara hanno vomitato, altra gente è stata male. Quelli sul fondo stavano peggio. Non c’era spazio per respirare, mi facevano tanto male le ginocchia e le braccia. Io tenevo Amin sollevato sopra la testa, per non farlo schiacciare. Così tutta la notte.
Dove vi hanno portati?
Omar:Vicino alla costa, si vedeva una nave a largo. Abbiamo aspettato la notte e con una barca più piccola ci hanno imbarcati un po’ alla volta. Al buio non ho visto bene la nave ma era malandata.
Leila:E hanno lasciato Karwan, Shaunm e Shilan a terra.
Come è accaduto?
Leila:Ho perso di vista i tre più grandi, pensavo che li avrei ritrovati sulla nave invece li avevano lasciati sulla spiaggia con altra gente. Hanno detto li avrebbero portati con un altro viaggio. Io urlavo che li andassero a prendere, ma gli uomini della nave mi hanno detto di stare zitta, che oramai non si poteva fare niente. Potevo solo piangere.
Come è proseguito il viaggio?
Omar:Mia moglie con Amin e Marian erano sopracoperta, io e Sara siamo finiti sottocoperta. Il mare era già mosso quando siamo partititi. Ci siamo accorti che la nave era sbilanciata da un fianco e a un certo punto è entrata un’ondata d’acqua. I bambini e le donne hanno cominciato a urlare. Io con altri uomini abbiamo cercato di buttare fuori l’acqua. Ho pensato che saremmo affogati tutti lì sotto.
E siete arrivati con quella nave fino in Italia?
Omar:No. Ci hanno sbarcati su un’isola. Abbiamo fatto scendere prima i bambini, perché tutti avevano paura che i mafiosi se ne sarebbero andati senza dargli il tempo di scendere. Non so se eravamo ancora in Turchia o in Grecia. Sull’isola c’erano altri tre mafiosi ad aspettarci. Era mattina e ci hanno portati in una casa così diroccata che quando mi sono disteso per cercare di dormire mi hanno detto di non appoggiarmi ai muri ché potevano cadere. Ci hanno dato del riso, ma quasi crudo e con un sugo schifoso. Abbiamo dormito.
Come avete poi raggiunto l’Italia?
Omar:L’indomani hanno chiamato una quarantina di noi e abbiamo attraversato quest’isola a piedi. Abbiamo camminato per dodici ore, e poi siamo arrivati ad una barca più piccola di quella precedente. Ormai era notte e ci hanno imbarcati. Dopo due ore di viaggio il pilota ha detto che c’era la vedetta della polizia e bisognava stare nascosti. Ci siamo schiacciati sul pavimento della barca. Il pilota ha girato la barca ed è tornato sull’isola; abbiamo aspettato un’altra ora prima di ripartire. Era giorno quando ci hanno fatto sbarcare e hanno detto che eravamo a Lecce . Ho portato mia moglie e i bambini a riva e quando mi sono voltato la barca era già lontana.
Leila:C’era gente che piangeva perché anche loro avevano perso di vista i figli, o il marito durante il viaggio.
Cosa hanno mangiato e bevuto i bambini in quei giorni?
Omar:Niente, solo quel riso crudo. Io ho bevuto l’acqua del mare, ma mia moglie non ci è riuscita e neanche le bambine.
Ha continuato ad allattare il piccolo?
Leila:Gli ultimi giorni avevo poco latte. Mi ero portata del latte in polvere ma non c’era acqua per diluirlo, allora l’ho sciolto nell’acqua del mare. Lui ne ha bevuto abbastanza. Guarda che bel bambino robusto, chissà forse l’acqua marina lo ha reso forte come il mare (ridono).
E sulla costa italiana?
Leila:E’ arrivata la polizia. Con un pullman ci hanno portato in una grande casa dove ci hanno dato da bere, finalmente, e dei vestiti puliti. Ci siamo potuti lavare e poi abbiamo mangiato. E’ stato come rinascere. Alcuni giorni dopo ci hanno detto che dovevamo andare a Roma.
Lì che è successo?
Leila:Non c’era nessun posto dove andare. Io e i bambini siamo stati prima alla Caritas, dove hanno curato Amin, e poi siamo stati sei mesi al centro Astalli, ma mio marito non poteva stare con noi . Dormiva al parco del Colle Oppio, insieme a tanti altri uomini curdi.
Che cosa pensava in quelle notti nel parco?
Omar:Ai miei figli rimasti in Turchia. Dove erano adesso? Poi al centro Astalli è arrivata la comunicazione che Karwan era in un centro accoglienza per minori a Foggia, e Shaunm e Shilan a Udine.
Come c’erano arrivati?
Omar:Li avevano fatti entrare su dei camion che poi arrivano via mare fino ai porti italiani. Karwan ha viaggiato nascosto in un carico di pelli di pecora, perché puzzano molto e i poliziotti non vanno a cercare fin dentro.
E il debito contratto per il viaggio?
Omar:Non ho più saputo nulla di quella gente.
Vi è stato riconosciuta la protezione per ragioni umanitarie. Rimarrete in Italia?
Leila:Certo. Le bambine devono continuare ad andare a scuola , adesso parlano e scrivono in italiano. Il maschio più grande ci ha raggiunti a Roma ma le due ragazze le trattengono in una centro per minori a Udine. Ci mancano tanto. Posso parlare con loro per telefono solo il sabato, ma so che sono trattate bene. Spero che un giorno staremo tutti insieme
Omar:Ora la nostra vita è qui.
Alcune cifre
Dopo cinquant’anni dalla Convenzione di Ginevra sull’asilo politico, l’Italia ancora non ha una legge organica in materia. Un vuoto a cui oggi si vuole rimediare con un paio di articoli nel ddl Bossi- Fini che introducono ulteriori restrizioni per le richieste di asilo. Sono circa 23 mila i rifugiati in Italia. Dal 1990 al 2001 sono state depositate 114.849 richieste.
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