Famiglia
Una fabbrica killer in piena città. Ascoli, aria al carbone
Il caso Sgl Carbon. 12 morti sospette e tanti altri veleni. Unaltra azienda accusata di non aver rispettato le normative di sicurezza sul lavoro, causando 12 morti per tumore.
La zona di Ascoli è una delle aree più inquinate al mondo, simile a metropoli come Los Angeles». Così scrisse l?Unità sanitaria locale 24 del capoluogo marchigiano nel 1984. «Tra il 1980 e il 1983 ad Ascoli è stato riscontrato un numero di casi di patologie tumorali 36 volte superiore alla media nazionale», aggiunge Paolo Prezzavento, responsabile del circolo di Legambiente.
Nel centro abitato marchigiano, da oltre 80 anni c?è uno stabilimento che produce annualmente 30mila tonnellate di carbone amorfo e elettrodi di grafite per altoforni. Negli impianti passano ogni anno 25mila tonnellate di antracite, 15mila di rottami di grafite, 7mila di coke e 13mila di pece. Dal ?92 lo stabilimento è della Sgl Carbon, multinazionale tedesco-statunitense quotata a Francoforte e a New York. «Il ciclo produttivo della Sgl», spiega Prezzavento, «prevede la combustione di catrame, pece e carbon coke, processi che provocano la diffusione di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici), sostanze persistenti, bioaccumulabili e cancerogene, tra cui il benzopirene». Nell?86 il ministero della Sanità ammette che, per esser certi che non danneggino la salute, l?unico livello di sicurezza per gli idrocarburi policlici aromatici è zero.
Sviluppo urbano miope
Quando venne costruita, la fabbrica era fuori del centro abitato; negli anni però è stata inglobata da uno sviluppo urbanistico miope. Nel 1972 l?architetto Benevolo Zani, responsabile del piano regolatore, destina l?area su cui sorgono gli impianti (allora di proprietà della Elettrocarbonium) a verde pubblico, rifiutando la proposta dell?azienda di riservarla a zona industriale. Otto anni più tardi l?amministrazione comunale dispone una variante al piano regolatore che consente a Elettrocarbonium di continuare a operare in quell?area fino al 2004. Un escamotage che resiste fino al 1990, anche grazie a parecchi condoni decretati dalla Commissione edilizia cittadina.
È nel ?93 che accade qualcosa. In seguito delle segnalazioni di alcune associazioni, infatti, la procura dispone il sequestro dei forni 5 e 6 in cui vengono cotti gli elettrodi, per verificarne la conformità delle emissioni. Ma su ricorso dell?azienda, il tribunale del riesame revoca il sequestro, e la Corte di cassazione a sua volta dispone la revoca del dissequestro. Come ultimamente a Gela, per timore di perdere il posto di lavoro iniziano le manifestazioni degli operai: alcuni si incatenano sulle ciminiere a 100 metri di altezza, minacciando di non scendere fin quando non avranno ottenuto garanzie sulla prosecuzione dell?attività. I ministri della Sanità e dell?Ambiente del primo governo Berlusconi (come per Gela), concedono per decreto una proroga per adeguare i livelli di emissioni ai parametri di legge.
Addio area verde
Nel ?94 l?azienda investe 3,5 miliardi di lire per costruire un termodistruttore di fumi, e dichiara risolti i problemi di inquinamento. A questo annuncio fa seguito la messa in mobilità di 51 dipendenti, e lo spegnimento dei forni 5 e 6. L?amministrazione comunale di Ascoli nel ?96 affida all?architetto Pierluigi Cervellati l?incarico di redigere un nuovo piano regolatore. La Sgl Carbon chiede una variazione della destinazione d?uso da area verde a zona industriale, e inizia un tira e molla che va avanti per un anno.
Alla fine si trova una soluzione di compromesso: l?area viene indicata come area ?bianca? di archeologia industriale, condizione non incompatibile con la presenza della Sgl. Ma il piano di Cervellati non viene mai approvato. Nel ?98 uno studio dei medici dell?università di Perugia rileva concentrazioni di sostanze tossiche sui lavoratori dei reparti ?Crudo? e ?Impregnazione?. Questa volta sindacati e ambientalisti protestano insieme.
«Secondo la Asl di Ascoli», prosegue Prezzavento, «a fronte di un limite di 2 nanogrammi per metro cubo, la presenza di sostanze nocive sarebbe arrivata a 400». Lo scorso anno l?Arpam invia al sindaco una relazione sull?inquinamento di un?area, densamente abitata, di 6 ettari intorno agli stabilimenti della Sgl, in cui è stata registrata la presenza di Ipa. Il sindaco diffida la Sgl a redigere un piano di caratterizzazione ambientale, ma la società fa ricorso al Tar e ottiene l?annullamento dell?ordinanza.
A ottobre 2001 inizia il processo che vede imputati 7 ex dirigenti della Sgl: l?accusa è di omicidio e lesioni colpose per la morte per tumori ai polmoni e alla vescica di 12 lavoratori. «Tra i dipendenti e gli ex dipendenti sono deceduti per tumori almeno in 150», puntualizza Prezzavento, «ma solo per 12 è stata riconosciuta una probabile relazione diretta tra attività lavorativa e neoplasia». Codacons, Legambiente e Vas, oltre all?Inail, si costituiscono parte civile assieme alle famiglie dei deceduti. «Le prime morti risalgono al 1974», sottolinea Stefania Mariani, legale che assiste i familiari di una delle vittime, «prima di giungere a una sentenza definitiva è molto probabile che i reati cadano in prescrizione».
Indennizzi beffa
La Sgl Carbon, da parte sua, ha proposto un indennizzo «non perché riconosce una responsabilità penale o civile», spiega Mariani, «ma solo, dicono, per una questione morale». Un milione di euro per la morte di 12 operai.
Ai familiari non resta che scegliere tra accettare questo parziale indennizzo, rinunciando a far accertare eventuali responsabilità della Sgl, e il rischio di veder prescrivere i reati, sommando al danno patito per la perdita dei familiari, la beffa di non poter ottenere alcun risarcimento. La prossima udienza è prevista il 28 maggio.
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