Giornata persone con disabilità
«Una diagnosi non ci definisce: la diversità è normalità»
Le storie di Omar, Sania e Lucia. Le difficoltà della diagnosi della malattia, le nuove prospettive per il futuro, il volontariato e l'importanza della condivisione. «Tutti i supereroi hanno delle disabilità, delle debolezze, dei problemi ma sono comunque supereroi»
«A me la sclerosi multipla si è presentata in maniera abbastanza aggressiva. Una mattina mi sono svegliato e avevo la metà del corpo completamente addormentata. Sono passati ormai quattro anni e mezzo», racconta Omar Hegazy, 38 anni. «Mi sento fortunato, questo “macigno” si è appoggiato su di me in un’età in cui ero più maturo e anche un po’ pronto per poterlo sopportare. Inizialmente ho pensato a una vertebra schiacciata. Questa malattia già la conoscevo, mi sono sentito fortunato anche nella diagnosi perché avevo un problema meno peggiore di molti altri».
Omar mi racconta la sua storia mentre aspetta di salire sul palco come relatore al convegno #GiovanioltrelaSM, evento nazionale che si è svolto a Roma, dedicato a tutti i giovani under 35 con sclerosi multipla e under 40 con neuromielite ottica, Mogad e patologie correlate. L’iniziativa è promossa da Aism, Associazione italiana sclerosi multipla, con il patrocinio di Ainmo, associazione dedicata alle malattie dello spettro della neuromielite ottica (Nmosd) e alla malattia associata agli anticorpi anti-MOG (Mogad).
Il passaggio del testimone
Dopo la diagnosi, mi racconta Omar che c’è stato un periodo di accettazione. «Ognuno ha i suoi tempi per questo. Dopo circa sei mesi, ho messo il primo piede all’interno di Aism per cercare un punto di riferimento, per avere delle risposte a delle domande. Volevo avere un incontro con una psicologa per avere un aiuto ad intraprendere un percorso di accettazione e a prendere consapevolezza di quello che è la sclerosi multipla. Quando sono entrato in contatto con l’associazione è scattato l’amore a prima vista». Omar mi racconta di avere un obiettivo, «che è parte di un percorso: passare il “testimone”. Nel mio momento del bisogno ho cercato qualcuno e l’ho trovato. Ritengo sia doveroso da parte mia passare, a mia volta, il testimone a chi si ritroverà, neo diagnosticato, con quei dubbi, quelle domande che erano le mie e cercherà qualcuno che gli dia le risposte, che lo supporti. Io ho preso tanto e lo voglio ridare».
La disabilità: una difficoltà, non un impedimento
Omar è socio e volontario della sezione di Roma di Aism e fa parte del gruppo Young Gold dell’associazione, «un gruppo giovani nazionale, un progetto formativo che arricchisce sia a livello associativo sia lavorativo. Sono account manager in una grande azienda nel campo immobiliare, dove ho trovato un ambiente con molta comprensione (e non è affatto scontato). Sto abbastanza bene, ho delle difficoltà che sono superabili: fatica, stanchezza mentale, memoria. Però ho i mezzi per poterle superare, che sono il mio amico computer piuttosto che colleghi super disponibili», racconta Omar. «Non nascondo la patologia, trovo che sia sbagliata questa idea di dover nascondere qualcosa che è parte di me. È come se un calvo si mettesse la parrucca quando è al lavoro: tra l’altro, io lo sono, quindi potrei mettermi anche la parrucca (ride, ndr). Ognuno deve essere libero di poter essere quello che è, dimostrando che la disabilità non è un impedimento per forza alla riuscita delle cose. È una difficoltà, ma non è un impedimento, comunque faccio un lavoro che per me è pesante, ma lo faccio».
I supereroi hanno tutti delle disabilità
«Tutti i supereroi hanno delle disabilità, delle debolezze, dei problemi ma sono comunque supereroi», mi risponde Omar quando gli chiedo cos’è, per lui, la diversità. «Me lo ha detto una volta un mio amico, un volontario Aism, lui non ha la sclerosi multipla. Ho pensato che aveva proprio ragione. Ho iniziato a pensare che la diversità potrebbe essere un punto di forza, potrebbe essere che le persone con disabilità siano un po’ dei piccoli supereroi. Mi piace vedere chi ha delle disabilità come persone che tirano fuori forze e capacità grazie alle difficoltà. Questo è un aspetto estremamente positivo perché poi, effettivamente, si deve vivere il meglio che si può. Io ne vivo poche di disabilità rispetto ad altri, quindi mi sento, ripeto, fortunato», prosegue Omar.
«Ho modo di conoscere tante persone che hanno una forza eccezionale, che sono di ispirazione per me. Questo mi spinge ad alzare sempre di più l’asticella. La diagnosi della malattia, che mi ha travolto, se la vedo dal bicchiere mezzo pieno è stata molto utile perché sono riuscito a scindere le cose di cui avevo bisogno veramente da quelle che erano superflue. Tempo ed energie diventano estremamente importanti e vanno centellinate, ogni giorno».
Un viaggio diventato risonanza magnetica
Sania Pagano vive a Vibo Valentia e ha 30 anni, mi racconta che ha saputo di avere la sclerosi multipla quando ne aveva 18. «I sintomi sono iniziati a 17 anni, un giorno avevo i piedi addormentati, poi i piedi sono diventati due gambe addormentate e poi altre parti del corpo che non sentivo più: avevo perso completamente la sensibilità. Era un anno di transizione perché era l’ultimo anno del liceo, l’anno in cui diventavo maggiorenne. La mia diagnosi è arrivata a 18 anni, all’alba del primo vero viaggio con quello che era il mio fidanzatino all’epoca, che oggi è mio marito. Invece questo viaggio si è trasformato in una risonanza magnetica», dice Sania.
«Per me amare significa lasciare liberi di essere se stessi, di vivere, Non significa rimanere per forza accanto ad una persona, anche se c’è un macigno che ci sta addosso. Quindi all’epoca dissi al ragazzo che oggi è mio marito di sentirsi libero di andare e iniziare una vita senza di me, se voleva». Sania mi racconta che questa vita nuova è arrivata all’improvviso, «con l’inizio di terapie che non sopportavo perché erano difficili. Sono arrivate anche delle ricadute subito dopo. È stato complesso perché ero presuntuosamente convinta di poter fare da sola, non volevo supporto, non volevo chiedere informazioni. E un’idea di associazione che era ben lontana da quella che è la realtà, immaginavo un mondo fatto di pietismi, di compassione», continua Sania.
Sfidare “lo stato ovvio delle cose”
Non voleva saperne della sezione di Vibo Valentia di Aism, «da quando mi ci sono avvicinata ho recuperato tutto il tempo. Ad un certo punto ho iniziato a vergognarmi di me stessa, mi chiedevo: come mai tutte queste persone riescono a farsi forza a vicenda, trovano della bellezza nello stare insieme, e io questa bellezza non riesco a vederla? Mi rispondevo che forse il problema ero io. Ho deciso che dovevo conoscerle le persone di questa realtà, mi sono resa conto che non erano poi così diverse da me. Ho scoperto la bellezza della condivisione, del saper andare oltre quella che è una diagnosi. Io pensavo che, in un determinato tipo di contesto, si parlasse solo di malattia».
Fare un passo indietro per farne 10 avanti
«Ho imparato che è bello fare un passo indietro per farne poi 10 avanti: dai primi piccoli incontri mi è preso il vizio. Quindi sono diventata volontaria Aism, poi socia. Sono entrata nel Consiglio direttivo provinciale, oggi sono consigliera nazionale», dice Sania. «Io non vedo questa responsabilità come un’esperienza, ma come un percorso necessario, un’evoluzione del volontariato che serve per fare la differenza, per cambiare quel famoso stato ovvio delle cose. Lo diceva Agostino D’Ercole, che fu vice presidente nazionale Aism: “È per questo che vale la pena vivere: per sfidare lo stato ovvio delle cose”. E noi ce lo portiamo dentro il cuore perché è necessario, non è detto che ci si riesca, ma bisogna quantomeno provarci».
Nuove prospettive: più tempo per gli affetti
“Nuove prospettive” è stato il tema del convegno #giovanioltrelasm di quest’anno. «Le mie nuove prospettive sono iniziate tra il 2012 e il 2013, con la diagnosi. Sono sempre stata una persona molto narcisista, materialista, che badava alle apparenze. Non pensavo che avrei fatto un lavoro che poteva vertere su studi umanistici e a sostegno dell’altro. Con gli anni, mi sono resa conto di quanto mi piacesse condividere quello che era stato il mio percorso, il mio benessere e il fatto che, se si vuole, ce la si può fare: condividere e anche trasmettere l’energia che mi ha portata avanti. E oggi lavoro nei servizi sociali», dice Sania. «In questo momento, le mie prospettive sono cercare di dedicare un po’ più di tempo alla mia vita personale. Sono molto dedita al lavoro, al volontariato, ma sento di volermi impegnare di più nella cura dei miei rapporti con gli altri, cercando di mantenere saldi i miei valori, sia dal punto di vista associativo che dal punto di vista lavorativo. Sono arrivata ad un momento della vita in cui vorrei mantenere le mie buone abitudini, però dandomi come priorità le persone».
La diversità? Un ossimoro
«Per me la diversità è un ossimoro, la diversità per me è normalità. Non esiste che ci sia qualcuno omologato a qualcun altro, per quanto all’apparenza possa sembrare così. Ognuno di noi ha delle peculiarità che lo contraddistinguono. Quindi è un termine contraddittorio, per me la diversità è vita e quotidianità», conclude Sania.
La diversità «è una parola complicata da spiegare, ognuno di noi la vede in maniera diversa. Adesso per me la mia diversità è la normalità», spiega, con le stesse parole di Sania, Lucia Cavallucci, 33 anni, affetta da neuromielite ottica. Lucia vive vicino Pescara, a Caramanico terme. «Ci sono dei giorni in cui mi dico: “Ma che vita è?” Però poi penso che posso fare tante cose, alcuni giorni non ce la faccio e mi riposo. Però quando riesco faccio il più possibile, anzi, a volte mi sforzo e faccio anche di più rispetto a prima perché ogni giorno mi sembra molto più importante, apprezzo le cose in maniera diversa».
«Sto iniziando il mio percorso da volontaria, ho avuto la diagnosi due anni e mezzo fa. Il mio primo sintomo è stato la sensazione di avere un blocco intestinale, mi sentivo come se indossassi sempre un corsetto stretto. Ho iniziato a fare ricerche, sono andata in ospedale, non riuscivo più a mangiare, inizialmente i medici collegavano il malessere all’ansia e allo stress. I sintomi sono diventati più importanti, ho avuto delle parestesie alle gambe e ho perso la vista all’occhio, che non ho più recuperato. Io dall’occhio sinistro non vedo nulla e non ho recuperato un problema ad una gamba. La diagnosi è stata neuromielite ottica, non sapevo neanche cosa fosse».
Il fatto che il mio lavoro non sia compatibile con la patologia che ho è la cosa che mi fa stare più male, è la cosa più pesante da accettare
Lucia Cavallucci
Lucia faceva l’educatrice in un asilo nido, non ha più lavorato «perché non ce la facevo fisicamente. Adesso sto in una fase di recupero, mi rendo conto che il lavoro di educatrice è pesante a livello fisico e mentale. Non so se riuscirei a reggere i ritmi. Il fatto che il mio lavoro non sia compatibile con la patologia che ho è la cosa che mi fa stare più male, è la cosa più pesante da accettare. Ho fatto tanti sacrifici per studiare, avevo trovato il lavoro che faceva per me, sentivo di essere nata per quello. A 33 anni ho capito che era quella la mia strada, mi sono ritrovata a dover cambiare tutto», continua Lucia.
«Ma ho scoperto una forza che pensavo di non avere, mi sono subito tirata su di morale e, appena possibile sono tornata a vivere da sola, dopo un periodo in cui ero tornata da mia madre dopo la diagnosi. Il mio obiettivo principale è trovare un lavoro, il secondo è arredare casa nuova«.
Foto di apertura ufficio stampa Aism. Altre foto di Ilaria Dioguardi
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