Volontariato

Una denuncia inquietante. Clandestini per sempre

Colf i cui datori non possono permettersi il minimo di 552 euro al mese. Lavoratori in nero, lasciati a casa. Persone senza residenza.

di Stefano Arduini

“Il servizio alla persona, come il welfare, tiene sempre la persona al centro”, si legge nel testo del discorso che monsignor Giovanni Nervo, oggi presidente onorario della fondazione Zancan di Padova dopo aver trascorso 16 anni in Caritas, ha esposto al convegno della Acli di Vallombrosa. Poi, pochi giorni dopo leggi sul giornale che a un algerino rubano il portafoglio, lui va in questura a Livorno per denunciare il furto, e gli agenti lo arrestano in base all?articolo 12 della nuova legge sull?immigrazione. E allora ti accorgi che quella di Nervo più che un?ovvietà è un miraggio. Ma anche che la Bossi-Fini comporterà costi sociali troppo elevati e che quindi «la stessa realtà la renderà inapplicabile e obbligherà a cambiare una legge contraria al concetto di società civile e cristiana», aggiunge Nervo. Vita: La Bossi-Fini promette di mettere in regola colf, badanti e lavoratori subordinati. E gli altri? Che ne sarà di loro? Giovanni Nervo: Già la procedura prevista limiterà di molto il numero di chi riuscirà a farsi regolarizzare e soprattutto le persone e le famiglie più povere non riusciranno a farlo. Gli altri rimarranno clandestini perché loro hanno bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di loro, e una repressione generalizzata sarà difficilmente gestibile. Vita: C?è chi parla di un milione di stranieri esclusi dalla sanatoria, ma le cifre sono molto approssimative. Ma quanti sono veramente gli insanabili? Nervo: E chi lo sa? Non si sapeva neppure quanti fossero quelli regolarizzabili: lo si è scoperto quando si sono viste le lunghe code per ritirare i moduli. E gli stagionali? Nessuno parla di loro, eppure il problema c?è, e come! Saranno regolarizzati temporaneamente? Saranno espulsi? Rimarranno clandestini? Credo che per la raccolta dei pomodori, dell?uva, delle mele nessuno pensi di poter fare senza di loro. Vita: Chi si deve prendere cura di questa gente? Nervo: Io penso che né la Chiesa né il volontariato abbiano il compito di risolvere questo problema che spetta alle organizzazioni democratiche della società civile: parlamento, governo, Regioni, Comuni. Ma Chiesa e volontariato possono e devono fare pressione democratica sulle autorità responsabili perché trovino soluzioni giuste e umane. Vita: Anche disobbedendo alla legge? Nervo: Le persone vengono prima della legge. Se la legge non rispetta la dignità e i diritti delle persone e delle famiglie, va cambiata. La realtà stessa lo richiederà, come dimostrano i fatti di ogni giorno. Vita: Quali sono i costi sociali di questa legge? Molti datori di lavoro non regolarizzano perché dovrebbero sborsare troppi soldi. Crescerà la disoccupazione? Nervo: Non credo. Di sicuro aumenterà la clandestinità per tre ragioni: perché le famiglie con persone anziane o disabili hanno bisogno di questo aiuto; perché le persone immigrate hanno bisogno di questo lavoro e di questo guadagno; perché il fenomeno immigrazione è di tali dimensioni per cui le cosiddette forze dell?ordine non saranno in grado di reprimerlo. A meno che pensiamo di combattere la disoccupazione infoltendo il numero di carabinieri, di guardie di finanza, di ispettori del lavoro con l?illusione di riuscire a reprimere il fenomeno. Vita: Almeno dal punto di vista dell?ordine pubblico, i cittadini si potranno sentire più protetti? Nervo: Teoricamente se la legge riuscisse a combattere il commercio di vite umane, il mercato della droga, della prostituzione, dell?abuso dei minori le conseguenze sarebbero positive e la legge si dimostrerebbe necessaria. Ma non riuscirà a farlo. Spesso i ladri sono più abili dei carabinieri. Le conseguenze andranno misurate sui fatti. La verità però è che si tratta di due problemi diversi: una cosa è la prevenzione e repressione della malavita per garantire l?ordine pubblico, altra è regolare e governare il fenomeno dell?immigrazione. Far coincidere l?immigrazione con la malavita, oltre che abominevole sotto l?aspetto morale e civile, è fuori dalla realtà: è il peccato originale di questa legge. Vita: Lei è a Padova. Il ricco Nord-Est come reagirà all?introduzione della legge? Nervo: Le conseguenze sul tessuto economico e sociale a mio avviso sono disastrose. Questa legge diffonde paura, diffidenza, rifiuto che sono gli atteggiamenti esattamente opposti a quelli necessari per preparare e avviare un?integrazione sociale, fatta di rispetto delle persone, di rispetto delle diverse culture, di stima reciproca, di collaborazione. Per fortuna la società civile ha maggiori e migliori risorse di quelle che talvolta sanno esprimere i suoi governanti. Le comunità locali nella scuola, nelle parrocchie, nei paesi stanno avviando una rispettosa accoglienza e integrazione sociale indispensabili per una convivenza di civiltà e di pace per il futuro del nostro Paese. Clandestino per sempre/1. Arbe e Victor sono due fratelli albanesi. A Brindisi presidiano un punto pericoloso per il traffico. Tutti li vogliono. Ma… Il semaforo da domani è rosso fisso C?era una volta un incrocio con accanto un fiumiciattolo, nel quartiere Patri di Brindisi, dove le macchine (intese nel senso di automobili) passavano e, spesso, finivano per cadere nell?acqua. Alcuni ci restavano persino secchi, cappottando. Altri se la cavavano con poco. Qualche giorno d?ospedale e l?automobile da rottamare, tutt?al più. Era così da anni, tanto che, alla fine, in quella strada non ci passava quasi più nessuno: 100-200 auto al giorno. Oggi ce ne passano 15mila, perfettamente incolonnate, il traffico scorre via veloce e la zona è tornata viva, oltre che ?a scorrimento veloce?. Merito di due albanesi dall?aria un po? truce, forse, sicuramente affaticati causa iperlavoro. Arben, 37 anni, che parla di più e meglio l?italiano, e Victor, di anni 35, che l?italiano lo parla male. Vivono giorno e notte su quella strada, all?uscita di un tunnel, dandosi il cambio ogni 12 ore, non di più, lavorando 365 giorni all?anno: sono loro a impedire gli incidenti, le code e i guai a un incrocio pericoloso e ?senza semaforo?. Anche perché, da dieci anni a questa parte, il semaforo vivente della zona, sono loro, i ?fratelli Semaforo?, che dirigono il traffico con palette rudimentali e senza una divisa, ma in modo impeccabile. In cambio di una piccola mancia, per chi vuole allungargliela e ringraziarli. Victor e Arben sono due albanesi (di Durazzo, per la precisione), poco estroversi e poco portati per i convenevoli, sbarcati in Puglia con la prima, grande ondata migratoria albanese. Correva il 1991 e i due fratelli Lekli arrivarono, come molti, da clandestini, ma con la speranza di trovare fortuna e lavoro in Italia. All?inizio, fecero le solite cose: raccolta di pomodori nel foggiano, i manovali a Bergamo. Poi, tornano a Brindisi. Di fronte a loro due strade, egualmente aperte: buttarsi a corpo morto nei circuiti della micro (e grande) criminalità albanese, che allora si stava impiantando nel nostro Paese, oppure rimpatriare. Ne scelsero una terza, e dopo poco le loro mogli li raggiunsero in Italia, nazione dove, col passare degli anni, sono nati tutti i loro figli, che sono ben sei, tre a testa, e per i quali Victor e Arben stravedono. Oggi, i ?fratelli Semaforo? in patria sono diventati una specie di celebrità nazionale. In Italia, invece, hanno sì ottenuto numerosi ed encomiabili attestati di stima e benemerenza pubblica, come una targa di ringraziamento della città di Brindisi, ma poco più, tranne la generosa gara di solidarietà di molti privati cittadini brindisini, che li amano. Ora chiedono soltanto che il loro lavoro venga riconosciuto pubblicamente, carica e stipendio. «Da lì», hanno spiegato, «non abbiamo intenzione di andarcene, anche se sappiamo cosa rischiamo». Criminalità locale e albanese, che pure li ha minacciati, blanditi, provocati? Macché. Soltanto, l?entrata in vigore della Bossi-Fini: da dicembre 2002, quando scadrà il loro permesso di soggiorno, non avendo un lavoro ?regolare? in mano, i fratelli Lekli sono a rischio di foglio di via. Ettore Colombo Clandestino per sempre/2. Songing viene dal Bangladesh. Vive a Roma da molti anni ed è il beniamino del quartiere dove lavora. Porta a tutti la spesa. Quell?amico alla porta del supermarket Quella che segue è la storia di un paradosso, creato dalla legge sull?immigrazione, che scarica tutto il suo peso su un piccolo e mite uomo, dalla pelle molto scura, di età indefinibile, 35 o forse 40 anni, che da lungo tempo vive decorosamente nel nostro Paese, nel quale si è integrato perfettamente, rispettandone le leggi e imparandone la lingua. Quest?uomo è un lavoratore autonomo sui generis, ancorchè clandestino. E quindi escluso dalla possibilità di una sanatoria, anche se la facesse a spese sue. Perché la sanatoria è ammessa solo per i lavoratori dipendenti. Quest?uomo, lo chiameremo Songing, proviene dal Bangladesh. Si trova in Italia da quattro anni. Abita in una stanza presa in affito, che paga puntualmente, seppure in nero. Songing lavora tutti i giorni, dal lunedì al sabato, dalle 8 alle 20. Non ha un ufficio, ma è come se lo avesse: infatti svolge il mestiere di tuttofare e staziona davanti all?ingresso di un grande supermercato che si trova in un popoloso quartiere della capitale, zona nord. Chi ha bisogno di lui, sa dove trovarlo. È entrato nel cuore dei clienti del supermercato e di tutti quelli che abitano nei dintorni: aiuta a riempire le buste della spesa, trasporta la spesa stessa a casa dei clienti. Aiuta tutti, anche quelli che non glielo chiedono, e molti non possono più fare a meno di lui. Il supermercato davanti al quale ?lavora?, infatti, si trova in fondo a una discesa molto ripida, e tante persone, non solo anziane, farebbero molta fatica a portarsi da sole le buste della spesa. Così provvede lui. E se non ci fosse, il supermercato perderebbe di certo clienti. Conosce tutti nel quartiere e sa qual è la casa di ogni singola famiglia. Tutti i bambini lo chiamano per nome, gli fanno le feste. Insomma, è un beniamino, ed è un clandestino per modo di dire. Probabilmente conosce più famiglie lui che il parroco della zona. Vive solo con le mance, molti clienti sono generosi con lui. Così riesce a pagare l?affitto, a sopravvivere, e perfino a spedire soldi alla famiglia in Bangladesh. La vita ?felice? di Songing è finita il 3 settembre scorso, quando negli uffici postali è cominciata la distribuzione dei moduli per la regolarizzazione degli immigrati. Songing ha impiegato poco a capire di essere un fuorilegge, di trovarsi in un mare di guai. La nuova legge praticamente non gli concede scampo. E non trova nessuno che gli dia una mano. «Il proprietario del supermercato aveva promesso di aiutarmi» spiega Songing. «Da tre anni e mezzo lavoro qui davanti, ma adesso lui dice che non mi regolarizza, che non può. Eppure l?altro giorno ha assunto un?altra persona. Io non voglio regali da nessuno, e nemmeno voglio violare le leggi. Ma non voglio andarmene, io lavoro qui, ho il mio guadagno, non faccio niente di male, non rubo nulla, non frequento gente cattiva. Io sono contento del mio lavoro, anche se non guadagno tanto, ma è già abbastanza per le mie esigenze. Ma allora perché non mi posso regolarizzare da solo ?». Già, perché ? Francesco Gerace Neri in nero Maria Salinas è la coordinatrice della campagna Acli ?Non perdere tempo, non lasciarli in nero?. Spiega: «È un colossale pasticcio. Dati i costi, i datori di lavoro non regolarizzano le colf, o dichiarano meno ore di lavoro di quelle che effettivamente compiono in modo da non pagare i contributi. Gli immigrati hanno poi l?obbligo di indicare una residenza. Non avendo il permesso di soggiorno, non hanno il contratto d?affitto. Mi spiega come possono certificare il recapito?». «Infine, il dramma di chi è licenziato senza giusta causa, magari dopo anni di lavoro in nero», prosegue la Salinas,«queste persone potrebbero denunciare il datore di lavoro, ma poi si troverebbero in tasca un bel foglio di via». Anche la Caritas ha attivato sportelli informativi per spiegare l?iter della regolarizzazione. Giancarlo Quadri, responsabile della pastorale Migranti della diocesi di Milano traccia un bilancio: «Oltre la metà degli immigrati che si rivolgono a noi sono tornati al lavoro nero. Intanto dall?estero arriverà sempre più gente. In Marocco c?è un milione di persone pronte a salpare». Info: Acli Caritas


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