Volontariato

Una cura per il “metrocubismo”

Parla l'assessore-architetto Stefano Boeri «No a un’Expo tutta fatta di grandi padiglioni»

di Giuseppe Frangi

No a un’Expo metrocubista. Stefano Boeri ha cambiato il ruolo ma non certo idea. Era uno dei quattro architetti della Consulta voluta dal sindaco Moratti e che aveva elaborato un innovativo – forse troppo innovativo – masterplan fondato sull’idea dell’orto globale. Poi, lasciata la Consulta, s’è buttato nell’avventura elettorale, con il risultato di ritrovarsi assessore alla Cultura con delega all’Expo nella giunta che ha scalzato la Moratti.

Nel frattempo la Consulta è stata sciolta, la Moratti è uscita di scena, ma il grande nodo è sempre lì da sciogliere: quello dei terreni su cui avverrà l’Expo. Prevarrà la logica dei metri cubi o ci sarà la forza di immaginare (e imporre) un’altra destinazione all’area? Il tempo stringe, la fretta sembra legittimare scorciatoie che con l’idea di semplificare i percorsi in realtà s’inchinano all’egemonia del metro cubo. Ma Boeri non molla. O si ha la forza di fare un’Expo diversa o si va verso un fallimento, è la sua convinzione.

Non teme di avere una visione bella ma utopistica?

Ma non è affatto così. È invece vecchia, anacronistica e anche antieconomica la visione di chi vuol ritornare nei ranghi, con un’Expo tutta fatta di grandi padiglioni e poi una grande cementificazione a seguire.

Più che antieconomica sembra una prospettiva ipereconomicistica…

È un errore di prospettiva. Miopia pura. Non possiamo continua a guardare a quelle aree nell’ottica del valore dei terreni. È un’ottica ormai al capolinea. Se invece iniziamo a considerarle come valore di “terra” si scoprirà quale ricchezza diversa e proiettata sul futuro possono generare. La terra è connessa al concetto di fertilità. Che è quella agricola ma non solo. C’è anche una fertilità indiretta, quella che produce relazione, innovazione, scambi commerciali ed economici. Ma la politica fa fatica ad assimilare questa grammatica nuova. E così sembra che l’unica prospettiva che alla fine fa tornare i conti sia quella di lasciar via libera alla filiera edilizia. Una prospettiva di una povertà assoluta. Peggio che a Dubai. E lo dico io che da architetto ho sempre lavorato con il cemento e che quindi non lo demonizzo certo a priori.

Il discorso è bello. Ma poi come tradurlo in pratica?

Avevamo lanciato il progetto dell’orto globale, del grande parco tematico da lasciare in eredità al dopo Expo. Sono convinto che se ne facessimo una proiezione economica scopriremmo che quel progetto sarebbe stato anche redditizio. L’idea alternativa, che segue la stessa filosofia, è quella di trasferire lì il grande ortomercato di Milano, concependolo in maniera nuova, per valorizzare e dare mercato a tutta l’agricoltura di prossimità. Un ortomercato di nuova generazione.

Il Bie comunque insiste che un’Expo agricola non può funzionare. Come risponde?

Che, mi spiace per loro, ma sono fermi a un’idea da fiera Campionaria. Che quel modello è già tramontato dopo i fallimenti di Hannover e di Saragozza. L’Expo pensata a padiglioni è cosa del secolo scorso.

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