Cultura

Una colonna sonora per ripartire

Ci serve tutta la musica, non solo una parte, per lenire quello che ci ha lasciato nell’anima il malefico virus. Tanto che saltiamo dall’elettronica all’avant country senza alcun timore. E dopo tante parole dette e cantate largo a brani strumentali

di Doriano Zurlo

È un periodo insolito, perché limitarsi ad ascoltare le solite cose? E poi: ora che mettiamo il naso fuori casa, non dovremmo avere nelle cuffiette una colonna sonora adeguata ai pensieri, agli stati d’animo, alle paure e alle speranze che ci portiamo appresso? Ecco una serie di musiche non troppo note che, per motivi di cui diremo, forse fanno al caso nostro.
Chi ha piacere, le troverà tutte in fila su Spotify, qui. Oppure, cliccando sui titoli sotto indicati, verrà indirizzato alla pagina YouTube corrispondente.

Apre la lista Untravel di Rival Consoles (nome d’arte di Ryan Lee West, musicista di Leicester, Inghilterra). È un brano dal carattere riflessivo e profondo, che svela uno dei criteri con cui è stata compilata la raccolta: niente chiasso. Sì, torneremo a far caciara, ma non adesso, non ancora. Un attimo. Prendiamo fiato.

Altro criterio: nessun limite di genere. Ci serve tutta la musica, non solo una parte, per lenire quello che ci ha lasciato nell’anima il malefico virus. Tanto che saltiamo dall’elettronica all’avant country senza alcun timore. Più della coerenza stilistica, ci interessa la descrizione sonora. Pretty Star, suonata in solitudine da Bill Frisell, è talmente raccolta, semplice, intima e casalinga da sembrare figlia del (scusate l’anglismo) lockdown.

Ma quella fase è andata. E speriamo di non tornarci più. Entriamo nella fase 2. Ma… come? Come Dante entra nel Purgatorio: «Per correr miglior acque alza le vele / omai la navicella del mio ingegno, / che lascia dietro a sé mar sì crudele».
Si alzino le vele dell’ingegno. Il desiderio di riveder le stelle non venga offuscato da ottusa superficialità. Ovvero, non sia dimentico di ciò che ha passato. Perché il desiderio, senza memoria, svacca. Il padre del free jazz, Ornette Coleman, ci aiuta a non svaccare con una meravigliosa melodia intitolata Chanting.

Come ormai apparirà chiaro, questa è una raccolta di sole musiche strumentali. Perché? Perché di parole ne abbiamo fin sopra i capelli, ne sono state dette (e cantate) troppe. Basta la musica. O Ephraim di Brad Mehldau, sembra fatta apposta per commentare la ritrovata libertà di uscire.

E Mirror Box di Blake Mills, così struggente, sembra fatta per ricordare chi ci ha lasciato senza nemmeno la possibilità di un ultimo saluto. Proprio come il Main Title Theme composto da Max Richter per ‘The Leftovers’, una serie televisiva dove il 2% dell’umanità scompariva misteriosamente, senza motivo.
Forse non sarebbe da sottovalutare – visto che, in fondo, scomparire per un virus è molto simile a scomparire senza motivo – l’eventualità che la musica diventi preghiera. Un pensiero che dividerà i lettori in chi apprezza e chi no. Fa niente. A riunirli ci pensano Charlie Haden e Hank Jones, con uno spiritual intitolato Take my Hand Precious Lord, rigorosamente in versione strumentale.

Mentre la sensazione di un lento ritorno alla normalità, il vigore di una vita che riprende, ma che non dimentica l’intensità e lo sgomento passati, forse si sposano bene con Jon Hopkins e la sua Emerald Rush.

Qualcuno ha detto che l’umanità ne uscirà migliore. Qualcuno ha detto che non cambierà nulla. Qualcun altro che saremo peggiori di prima. Sbagliano tutti, per forza. Parlano di un’entità astratta: l’umanità. Ma il cambiamento avviene nella persona. Se trova il modello giusto da seguire. Model dei Kraftwerk. Però suonata dal Balanescu Quartet.

Quanto al cambiare – prima noi e poi il mondo intero – si tratterà anche di uscire dagli schemi dentro i quali, intrappolando il mondo, sbricioliamo noi stessi. Ignacy Jan Paderewski (1860-1941) è perfetto per illustrare questo spirito. È stato pianista e compositore di successo, con tournée in tutto il mondo, ma anche politico di successo, addirittura Primo Ministro della Polonia nel 1919. Se un politico sa scrivere questo Nocturne in B-flat major, allora tutto è possibile.

Come è possibile, del resto, che ci siano musiche molto più adatte di queste per… insomma: ognuno faccia la sua lista, con la sua sensibilità. Noi ci fermiamo qui, dieci brani sono sufficienti. Al massimo aggiungeremmo un valzer. Non è a livello del resto, certo, ma un valzer che male potrà mai fare?

Ps: su Spotify, la playlist (scusate l’anglismo) è collaborativa. Vuol dire che chiunque, se vuole, può aggiungerci il brano o i brani che sente più adatti. Una sola regola: solo musica, niente parole.

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