Sono le coincidenze apparenti della vita che fanno riflettere. Come nel caso dell’incontro che si è svolto lo scorso 9 aprile presso l’Ambrosianeum di Milano. Ospite d’eccezione: il pastore evangelico Christian Führer, invitato in Italia da Marco Vitale in occasione dell’uscita del libro Lipsia 1989. Nonviolenti contro il muro di Paola Rosà. Coincidenze, si diceva. Il 9 aprile, ma di 65 anni fa, veniva infatti ucciso per ordine di Hitler il teologo luterano – ma anche politico, scrittore, poeta e protagonista della resistenza al Nazismo – Dietrich Bonhoeffer. Un esempio per molti e per Führer in particolare che, su Bonhoeffer, ha scritto la tesi di laurea. E che in parte spiega l’esperienza pacifista nata all’inizio degli anni 80 in una chiesa di Lipsia, la Nicolai Kirche, dove Führer era pastore, intorno alla quale si è raccolto negli anni successivi il nucleo di una vera e propria resistenza non violenta al regime comunista. Fino a culminare in quel 9 ottobre 1989, un mese esatto prima del crollo del Muro, quando 70mila cittadini dell’allora Germania dell’Est marciarono pacificamente per la città muniti di candele e un solo slogan: «Keine Gewalt», no alla violenza.
A parlare della “Rivoluzione delle candele”, 21 anni dopo a Milano, è proprio lui, quello stesso pastore che accolse centinaia di persone nella propria chiesa, con un occhio rivolto alla Bibbia e l’altro ai movimenti della Stasi, la polizia di Stato che lo avrebbe sorvegliato per vent’anni. Oggi Christian Führer ha lasciato il suo incarico, si occupa di disoccupazione, ma è sempre lui: jeans e maglietta, seduto fra l’autrice del libro – e per l’occasione traduttrice simultanea – e Marco Garzonio, presidente di Ambrosianeum. In prima fila la moglie, a cui il pastore rivolge qualche sguardo mentre racconta. «Tutto cominciò quando lo scontro fra l’Unione Sovietica e la Nato si fece più duro, gli uni pianificando i nuovi missili a corto raggio SS-20, e gli altri installando i Cruise a media gittata. Fu allora che le Chiese evangeliche organizzarono la prima “decade della pace”: dieci giorni di preghiera, dall’8 al 18 novembre, riproposte l’anno dopo, nel 1981, nel bel mezzo della corsa al riarmo e l’incombere della guerra nucleare. Ai 130 ragazzi che per l’occasione vennero nella mia chiesa proposi una cosa molto semplice. Si sedettero al posto del coro dietro l’altare, al centro sdraiai un crocefisso e chiesi a tutti di rispondere a una domanda: “Chi viene messo in croce oggi nel nostro Paese secondo voi?”».
Tutti vollero parlare e tutti esprimevano un profondo e disperato bisogno di libertà. L’ultimo a dire la sua lo fece a notte inoltrata. Da allora, la chiesa di San Nicola fu il ritrovo di molti fedeli, ma soprattutto di non credenti. Si organizzarono perfino concerti di musica punk che, insieme alle cantate di Bach tanto care al pastore Führer, attiravano sempre più cittadini. «Ci sono cose che possono succedere solo nelle chiese», confessa oggi il pastore, «ed è quanto rispondevo a chi mi accusava di snaturare il senso di quel luogo, ponendo loro una domanda: “Volete rinunciare a queste cose?” A chi viceversa mi incitava dicevo che il nostro non era coraggio. Il coraggio si consuma nel tempo, qualcos’altro ci spingeva a fare ciò che facevamo».
Decine di migliaia di ragazzi in quegli anni sfoggiano sulla manica del proprio giaccone un lembo di stoffa fatto stampare in preparazione della decade evangelica: in un cerchio con la scritta «Spade in vomeri» era raffigurato un fabbro che piega un’arma per ricavarne un aratro, un esplicito riferimento sia al mondo socialista, ma soprattutto a un versetto biblico. Nel 1982, però, una lettera dei vescovi esorta i giovani a non mostrarlo più: «Non siamo più in grado di proteggervi dalle conseguenze che possono derivare dal portare il simbolo». L’insofferenza ai diktat del regime cresce e rischia di trasformarsi in rivolta. «Davanti a noi avevamo il futuro. Dietro, ancora negli occhi, la rivoluzione ungherese del 1956, l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 e di lì a poco quella di Tien’anmen», ricorda il pastore, «tutti tentativi soffocati nel sangue».
Il 19 febbraio del 1988, dopo l’ennesimo giro di espulsioni mascherate dalla propaganda come espatri volontari, più di mille persone si ritrovano nella chiesa di San Nicola. Tema dell’incontro: andare o restare? «Fu in quell’occasione che citai il salmo 65: “Di gioia fai gridare la terra, le soglie dell’Est e dell’Ovest”. Il riferimento era volutamente esplicito. La domanda era infatti mal posta: non si trattava di abbandonare o di arrendersi. Citai allora la seconda lettera ai Corinzi di San Paolo: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. In pochi minuti molti capirono si trattava di affidarsi alla pace, di crederci».
L’anno successivo tutto faceva pensare al peggio. La stessa Chiesa evangelica mostrava tutta la sua rigidità. Quella cattolica era pressoché assente. La Stasi si presentava ogni giorno davanti alla chiesa di San Nicola come deterrente, fino a quando non decise di impedirne l’accesso. Era il 7 ottobre 1989. Due giorni dopo, però, successe l’imprevedibile: 70mila cittadini sfilarono davanti alla chiesa e lungo le strade della città. Nessuna violenza, nessun vetro rotto, nessun intervento della polizia. Il pastore ci tiene a sottolinearlo: «Le persone che sfilarono usavano una mano per tenere la candela, l’altra per proteggerla dal vento. Entrambe le mani erano impegnate». Era stata scongiurata la “soluzione cinese”. Il 24 ottobre il segretario generale dell’unico partito della Germania Est (la Sed), Erich Honecker, si dimise dal proprio incarico. Il 9 novembre le televisioni di tutto il mondo testimoniarono la caduta del Muro di Berlino. Ride il pastore, oggi, ripensando a quanto gli avrebbe confessato qualche anno dopo un ex capo della Stasi: «Avevamo pensato a tutto, non avevamo però pensato alle candele».
È finita la conferenza, il tempo solamente per offrire ai presenti un ultimo, piccolo, suggerimento: «I tempi buoni per la Chiesa spesso non sono i migliori per la fede». E viceversa.
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