Qualunque principiante in navigazione, quale il sottoscritto, sa che ogni buona bussola indica sempre il Nord. E questo devono pensare i nostri politici europei quando si riuniscono nelle decine di Vertici europei per cercare di tamponare le falle e indicare la rotta per uscire dalla crisi: guardare ai virtuosi del nord, che ora tengono la golden share di ogni decisione. Ma dopo cinque anni la barca fa sempre più acqua e ormai tanti temono che anche solo un prossimo piccolo scoglio mandi tutto a rotoli (la recente lezione del mezzo tsunami di Cipro, pari allo 0,2% del PIL europeo, mentre si attende la Slovenia e si teme Malta…). Non solo infatti a sei anni dall’inizio della crisi il debito sovrano ancora a tripla A è più che dimezzato nel mondo, ma la disoccupazione e la crisi sociale hanno ormai raggiunto livelli ritenuti dai più pericolosi per la stessa tenuta democratica dei nostri sistemi.
Forse è venuto il tempo di adottare la bussola strana di Capitan Jack Sparrow, che nei Pirati dei Caraibi guarda sempre a Sud. Per almeno due buoni motivi che sono anche le due grandi e uniche buone opportunità per uscire dalla crisi e gestire una nuova rotta per nostro futuro.
Primo. La crisi non è nata dal debito, né da quello privato né da quello pubblico, nella sua doppia versione di deficit annuale e di volumi assoluti. Ma è nata da una zona Euro storta, con una moneta unica ma non una vera comune politica economica, industriale e fiscale, nel cui quadro si sono pertanto generate pesanti divari di competitività e conseguenti crescenti squilibri delle bilance commerciali, con conseguente stravolgimento del mercato interno e della competitività e crescita che tutti conosciamo. Ormai è acquisito da tutti che il “quartetto impossibile” di Tommaso Padoa Schioppa (tenere insieme libertà di commercio, libertà dei movimenti di capitali, rapporti di ambio fissi e autonomia delle politiche monetarie nel cui quadro fu concepito il più grande progetto civile e politico del Novecento, la CEE prima e l’UE con il nocciolo duro dell’Eurozona) deve essere superato con una più integrata Unione bancaria prima ed economica poi. Ma deve altresì diventare chiaro che è urgente lavorare seriamente sul divario tra Nord e Sud dell’Europa, impedendo quel rischio esiziale di frattura strutturale che ha così segnato la storia italiana e che la Germania sta invece curando lentamente ma inesorabilmente con il suo est (tutt’ora assai più povero di molte parti del nostro italico sud). Si potrà così non solo evitare la rottura ma anche creare un circolo virtuoso che accompagni quelle necessarie e profonde riforme strutturali così necessarie in tanti paesi, dal mercato del lavoro alla gestione della spesa pubblica per intenderci, con altrettante e consistenti forme di trasferimento fiscale, sia negli investimenti per la crescita, per le infrastrutture e per la cura del capitale sociale, con forme contrattuali o modelli di stabilizzazione automatica (come si cominciano a chiamare nel gergo delle riunioni riservate a Bruxelles) altrettanto serie e solide di quelle che si sono costruire per la gestione delle politiche di austerità e responsabilità fiscale in questi passati anni. Insomma, investire e in modo massiccio nel Sud Europa da parte del – per ora – fluente nord, , immaginando finalmente concrete soluzioni federali in materia economica, sociale e fiscale, è ormai l’unica strada non solo per evitare un futuro pericoloso, ma per assicurare a tutti i suoi 500 milioni di abitanti una nuova era di progresso civile e sostenibile.
E’ la stessa logica che informò la nascita della Ceka, un progetto comune tra vincitori e vinti per accompagnare con investimenti comuni e solidarietà le trasformazioni del continente, che gli hanno assicurato non solo la riconciliazione e la pace, ma anche un progresso mai visto per oltre 50 anni. E che è stata la ragione del recente Premio Nobel per la pace assegnato all’Unione Europea.
Secondo, il Sud del mondo, in particolare l’Africa e il Mediterraneo. Pochi se ne sono accorti in Italia e in Europa in queste settimane, tutti presi da primarie e inconcludenti questioni interne… Ma il nuovo Presidente cinese rilancia la campagna d’Africa. Niente di nuovo, la questione è in corso ormai da oltre un decennio e ormai la Cina è diventata il primo partner commerciale del continente, trovando nel Sudafrica il suo alleato più fedele e più strategico. Non è un caso che proprio a Durban in questi giorni i Brics, che con il 42% della popolazione mondiale sono già il 25% del PIOL globale e unici poli di consistenti trend di crescita, lancino la propria banca comune, con 50 miliardi dollari e un primo fondo di sicurezza di 200 miliardi, nucleo di una alternativa al FMI. La vera novità è che appare incrinarsi l’idillio del continente con Pechino. Molti paesi infatti cominciano a mostrare segni di insofferenza crescenti verso quello che ormai alcuni definiscono apertamente il “neocolonialismo orientale” (si veda l’illuminate intervista del Governatore della Banca centrale della Nigeria al Financial Times…) E l’Europa dove sta?
Non più tardi di 4 anni fa, nel testo del parere approvato dal CESE sulla dimensione esterna della strategia di Lisbona rinnovata (poi diventata Europa2020), sostenevo con grande chiarezza che “l’Europa prospera soprattutto grazie alla sua apertura al mondo” e che fosse dunque interesse geostrategico dell’UE sviluppare la sua agenda esterna. E nelle 5 raccomandazioni politiche principali per la costruzione di un adeguato piano d’azione dell’UE finalizzato a costruire lo spazio e il ruolo dell’UE nel nuovo scenario della globalizzazione, scrivevo “assumere l’obiettivo di una zona ampia di sviluppo e crescita economica privilegiata, che potremo chiamare ‘EurAfrica: un’alleanza per il progresso reciproco’, che comporti la politica di vicinato, l’Unione per il Mediterraneo e un partenariato rafforzato con l’Africa.” E in un precedente parere sulle possibili coordinate di una cooperazione UE-Cina-Africa, ipotizzavo che per il suo passato storico e il ruo posizionamento geostrategico, l’UE, associando anche gli USA, potesse assumere un chiaro, nuovo e moderno ruolo di traino prevalente.
Non è certo l’invenzione dell’acqua calda… ma poco ci manca.
L’UE degli anni 90 e inizio anni 2000 ha vissuto una grande stagione di sviluppo, avendo un traino principale (la costruzione del mercato interno) e due pilastri traenti del proprio posizionamento nel mondo: la costruzione della moneta unica (la più grande rivoluzione monetaria di tutti i tempi) e l’allargamento, facendo diventare più ricchi, democratici e prosperi oltre 100 milioni di cittadini europei.
Qualche anno prima i nostri padri avevano fatto lo stesso, con la più grande e magistrale dichiarazione politica del Novecento, la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, che mise le basi di una “solidarietà di produzione, … aperta al mondo intero, per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. …. Prima tappa della Federazione europea, … cambierà il destino di queste regioni” E affermava ancora che così “l’Europa potrà perseguire uno dei suoi compiti essenziali, lo sviluppo del continente africano”, cosa che poi si fece con la Convenzione di Yaoundé e a seguire, Lomé e Cotonou.
Avviso ai naviganti dell’UE: uscire dal torpore, alzare un poco lo sguardo e osare la rotta del Sud. E soprattutto, darsi una mossa!
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