Formazione

Una banca senza padroni, padrini, partiti

In mezzo a scandali economici e a normative antiriciclaggio che rischiano di strozzare le Mag, prende corpo l’avventura finanziaria più affascinante del decennio.

di Francesco Maggio

Sembra ieri, anzi oggi, e invece sono già passati dieci anni. La frase potrebbe sembrare quella di circostanza che di solito, in occasione di un anniversario importante, si usa per sottintendere (il più delle volte in modo ipocrita) che non sono ancora comparse le prime ?rughe?. Ma stavolta, a proposito del decennale dell?avvio del progetto di costituzione della Banca popolare etica, questa regola non vale. “Sembra ieri, anzi oggi” che nasceva l?istituto di Piazzetta Forzaté perché il contesto politico-economico nel quale maturarono le condizioni che spinsero uno sparuto gruppo di associazioni (all?inizio, poco più di una ventina) a tentare una delle avventure finanziarie più affascinanti e a lieto fine degli ultimi anni era molto simile all?attuale: erano scoppiati gli scandali di alcune finanziarie che non avevano rimborsato i soldi ai risparmiatori (una sorta di bonsai dei casi Cirio e Parmalat); si faceva largo l?esigenza di procedere a una razionalizzazione del credito (come oggi con gli accordi di Basilea 2); tangentopoli e il tentativo di moralizzare la vita pubblica giravano a pieno regime (su questo punto, a onor del vero, lo scandalo di Collecchio è appena una palla di neve che ci auguriamo diventi presto valanga); l?Italia con il Trattato di Maastricht si apprestava a entrare in Europa e quindi c?era un problema di adeguamento delle norme italiane all?ordinamento comunitario (si pensi al dibattito attuale sulla Convenzione europea). Insomma, andava ricostruito un tessuto di fiducia (esigenza simile a quella espressa dal presidente della repubblica, Ciampi nel suo ultimo discorso di fine anno) che in campo finanziario è risorsa vitale come l?acqua. Il governo decise, quindi, di emanare una direttiva che poneva dei paletti piuttosto rigidi all?erogazione del credito. Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) licenziò un provvedimento, ribattezzato subito ?legge antiriciclaggio?, che imponeva anche alle società finanziarie di dotarsi di un capitale minimo di almeno un miliardo di lire. Le prime destinatarie della misura a vedersi però tagliate fuori e messe a repentaglio di sopravvivenza furono, paradossalmente, proprio le Mag, le mutue di autogestione, storico polmone finanziario delle piccole organizzazioni non profit. Come sarebbero riuscite a trovare i soldi per ricapitalizzarsi? “Fu un momento drammatico ma al contempo straordinario”, ricorda Fabio Salviato, presidente della Banca popolare etica, “perché ci rendemmo conto che bisognava fare qualcosa di urgente per sopravvivere ma anche che si aprivano orizzonti inediti per il mondo della finanza dedicata all?economia civile. Noi vedemmo in quel frangente l?occasione per aprire un tavolo di discussione a 360 gradi con le organizzazioni non profit per ragionare sul ruolo che spettasse alla finanza etica”. Un ruolo, fino ad allora, sicuramente marginale visto che gli enti senza fine di lucro non erano considerati soggetti bancabili dal sistema creditizio italiano e le rare volte in cui qualche rivolo di finanziamenti giungeva al non profit, venivano applicati i coefficienti di rischio più alti. “Curiosa, al riguardo” afferma Salviato, “fu la reazione che ebbero i dirigenti di Bankitalia quando ci recammo per la prima volta ad esporre loro il nostro progetto di banca per il Terzo settore. “E voi chi siete?” ci chiesero, visto che non eravamo riconducibili a nessuna delle tre P considerate condizione essenziale per costituire una banca: padrone, padrino, partito”. Per fortuna, le diffidenze di Via Nazionale sparirono subito, trasformandosi in una fattiva collaborazione. “Il centro studi della Banca d?Italia è uno dei migliori del Paese” ,sottolinea il presidente di Banca popolare etica, “è composto da altissime professionalità”. E la fortuna fece la sua parte anche nella messa a punto del business plan della futura banca: “Ogni anno” spiega Salviato, la McKinsey realizza gratuitamente uno studio dedicato a un determinato campo dell?economia. A metà degli anni 90 l?attenzione della società di consulenza cadde su un progetto di banca leggera, virtuale. I consulenti ci contattarono e subito ci trovammo d?accordo sulla visione di banca leggera che stavano disegnando. Con una differenza importante, però: mentre una banca virtuale non ha una vera identità, la nostra banca avrebbe potuto, al contrario, contare proprio su una riconoscibilità fortissima, anche perché in ogni città erano attivi dei nostri ?testimonial?. Mi torna in mente, inoltre, un aneddoto divertente: parlando con gli uomini McKinsey indicammo loro alcune esperienze di realtà non profit già finanziate con successo dai circuiti alternativi del credito denominate Rondine, Gabbiano, Rondinella. Tra il serio e il faceto gli analisti ci domandarono se avevamo intenzione di fare una banca o di giocare al Monopoli”. Il business plan fu quindi messo a punto dalla McKinsey, mentre il logo della banca fu opera di un altro grande nel suo settore, il pubblicitario Gavino Sanna che, escluse le spese vive, non volle alcun compenso per sé. Naturalmente, non tutto fu rose e fiori. Il momento più critico arrivò quando venne presa la decisione di passare da cassa rurale a banca popolare. Una scelta effettuata per poter essere operativi su tutto il territorio nazionale e non solo locale, ma che comportava un salto di qualità enorme in termini di raccolta minima di fondi necessari a partire: da 2 a 12,5 miliardi di vecchie lire. “Le Mag furono entusiaste della decisione, ma altre realtà del Terzo settore si mostrarono scettiche in proposito”, ricorda Salviato, “la carta vincente fu quella allora di individuare i cosiddetti market man all?interno delle organizzazioni non profit coinvolte nel nostro progetto, persone che noi pagavamo e che avevano il compito di fare promozione della banca all?interno dell?associazione di appartenenza”. L?8 marzo1999 la Banca popolare etica aprì il suo primo sportello a Padova. Dopo quasi cinque anni, può contare su 8 sportelli, è presente in 25 città, ha un gruppo dirigente che, a più riprese, blasonati istituti di credito italiani hanno tentato di ?comprare? in blocco, ammaliandolo con promesse di retribuzioni stellari. “Stiamo bene dove stiamo”, dice Salviato, “il nostro lavoro ci piace davvero tanto e siamo confortati dalla sempre più diffusa domanda di etica in finanza che va emergendo”. Dieci anni fa questa domanda portò a una straordinaria avventura. Chissà che la storia, con i suoi corsi e ricorsi teorizzati da Gianbattista Vico, non si ripeta?


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA