Mondo

Un volontario in Palestina. Il Giambellino formato export

Dalla periferia di milano al campo profughi di Shu’fat. Sempre al servizio di giovani in difficoltà. Il viaggio di Max Calesini, educatore di strada senza frontiere

di Redazione

Vivere in strada al Giambellino o in Palestina, non deve essere poi così diverso, deve aver pensato Max. E poi, chi meglio di un educatore può insegnare il divertimento a sciami di giovani palestinesi che le televisioni di tutto il mondo immortalano ormai quotidianamente con in mano una fionda caricata con pietre di fronte ai carri armati israeliani? Lui, Massimo Calesini 28 anni, al ?Giambella?, un quartiere difficile della periferia sud ovest di Milano, ci trascorre diverse ore, tutti i giorni, facendo la staffetta fra parchi e piazze nel tentativo di dare un?alternativa alla solita ?canna? per gli adolescenti della zona. Quindicenni che a scuola non ci vanno più da anni e si portano dietro situazioni familiari precarie. All?inizio dell?estate scorsa, Max, assieme alla sua ragazza e a tre amici, ha deciso: «Vado in Palestina!». Ad agosto, l?educatore del Giambellino e i suoi compagni di viaggio sono a Shu?fat. Ventimila persone ammucchiate una sull?altra in un chilometro quadrato. Shu?fat è un campo profughi importante, una sorta di istmo palestinese sotto l?amministrazione israeliana, che collega la Cisgiordania a Gerusalemme est. Ufficialmente vi risiedono 9.872 rifugiati, di fatto sono oltre il doppio. L?idea di Max è chiarissima: formare educatori come lui che possano prendersi cura dei bimbi di Shu?fat. Complicazioni in coda Alla sua squadra il compito di prendere i contatti con le associazioni locali e di stilare un progetto di formazione. La realizzazione pratica non è invece così immediata. I problemi non mancano, specialmente se alle spalle non hai una struttura che ti supporta. In questi casi, quando il visto scade ti tocca metterti in coda di fronte all?ufficio documenti, non hai corridoi preferenziali. In Palestina, fra l?altro, la fantasia non manca quando si tratta di escogitare un modo per tirare avanti. Ben presto ti accorgi che le persone che stanno facendo la fila davanti a te, non sono lì per rinnovare i documenti, ma semplicemente per occupare il posto. Passare avanti ha un prezzo. In dollari, ovviamente. «Piccoli contrattempi», ricorda Max, «come quelli che abbiamo avuto con i militari israeliani, mai troppo carini con chi si mette in mezzo, ma la necessità del nostro intervento l?abbiamo compresa pochi minuti dopo l?estenuante coda per il visto». Max e la sua ragazza stavano camminando nelle polverose vie di Shu?fat, quando, «come capita spesso», in un baleno la tensione è salita alle stelle. I militari israeliani avevano sparato i lacrimogeni, scatenando la reazione degli abitanti. Un bambino con una pietra in pugno, cercava di liberarsi dalla presa della madre, che gli urlava di non tirare il sasso, e per convincerlo, intanto, lo prendeva a bastonate. «In un contesto dove per impedirti di lanciare pietre, ti danno delle legnate sulla schiena», spiega l?educatore, «c?è molto da lavorare». Giochi contro lo stress A Shu?fat esistono 4 associazioni: il Local Committee for Disable, il Women?s Center, il Social Youth Center e il Child Club. «Ma nessuno sa mai quando aprono e se aprono», dice Max. «In particolare, i bambini sono privi di qualsiasi attenzione, i genitori non hanno la possibilità di occuparsi di loro, in casa non c?è spazio, in 40 metri quadrati vivono anche 12 persone, e così trascorrono tutto il tempo in strada. Qualcuno va al Centro giovani, ma qui le uniche attività strutturate sono i corsi di leadership, che poi si riducono a un inquadramento di tipo militare». Terreno fertile per piantare i semi della solidarietà made in ?Giambella?. «Il primo passo è stato capire le esigenze dei ragazzi di Shu?fat», ricorda Max. «Il loro problema più grosso è lo stress. L?angoscia di non sapere che cosa ti succederà da qui a mezz?ora è devastante». L?antidoto? Il gioco. Ma per gestire decine di ragazzini urlanti bisogna avere una preparazione adeguata. «Io mi porto dietro il know-how appreso nei campi organizzati dai Centri Rousseau», confida Max, «durante la nostra permanenza in Palestina siamo riusciti a creare le dinamiche giuste, malgrado le tensioni tremende che si creavano fra maschi e femmine, che non sono abituati a lavorare e vivere assieme. L?obiettivo, però, è di formare educatori locali. Altrimenti rischieremmo di buttare via i risultati ottenuti». Per questa ragione, fra marzo e aprile arriveranno in Italia 8 ragazzi palestinesi di Shu?fat (4 uomini e 4 donne). Il primo mese sarà dedicato alla teoria, mentre durante le prossime vacanze di Pasqua gli 8 giovani parteciperanno a un campo organizzato dai Centri Rousseau, «in modo che vedano come lavoriamo». Concluso il corso di perfezionamento, i neoeducatori di strada prenderanno servizio in Palestina (per il primo anno stipendiati interamente dall?Italia), mentre dall?altra parte del mondo, al ?Giambella?, Max continuerà a occuparsi dei suoi ragazzi.


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