Mondo

Un supermanager rompe il tabù dei brevetti

Si chiama Jeff Weedman e lavora alla Procter & Gamble: ecco la sua storia e il racconto del suo tentativo

di Paolo Manzo

Jeff Weedman è un uomo con una missione innovatrice: aprire al mondo il tesoro dei brevetti della Procter & Gamble (circa 27.000 secondo gli ultimi conteggi). Il motivo? Semplice, mettendoli a disposizione di tutti si stimola la rapida formazione di nuove idee. E anche la P&G ne trae vantaggio. Quando una cultura aziendale affonda le sue radici all’interno di una grande compagnia, cercare di modificarla diventa la sfida numero uno del management.
Alla Procter & Gamble (compagnia globale leader nei mercati del largo consumo, presente in 140 paesi e con un fatturato di più di 40 miliardi di dollari ) la resistenza al cambiamento faceva parte di questa cultura e si è sempre manifestata nel corso degli anni con una sfiducia totale verso chiunque provenisse dall’esterno. Tanto che lo scorso anno un anziano dirigente del reparto Ricerca e Sviluppo, Nabil Sakkab, si alzò in piedi davanti ai suoi colleghi durante una riunione accusandoli di essere troppo teneri nel rapportarsi con il mondo esterno.

Primo scoglio: il provincialismo
Oggi la P&G ha finalmente capito che non c’è azienda al mondo che possa crescere da sola. E ciò è soprattutto vero quando si tratta di processi innovativi. Per combattere il provincialismo della sua cultura aziendale e sviluppare rapporti più stretti con le altre società, la P&G ha riscritto le sue regole su come dev’essere gestita e controllata la proprietà intellettuale. Il colosso di Cincinnati possiede circa 27.000 brevetti in esclusiva e solo il 10% è usato nel processo produttivo aziendale; ma non è l’unica ad essere inefficiente in materia: anche altre “grandi” hanno percentuali simili. Per molto tempo, infatti, un ristretto gruppo di Big Companies ha considerato il proprio know-how un bene economico che le Small Companies potevano essere disposte ad affittare. Le ditte farmaceutiche e quelle operanti nel settore del computer sono state le principali responsabili nel brevettare le scoperte e, al di fuori dei due settori citati, questa pratica è stata molto meno diffusa.
Ma la P&G si è sempre considerata un’azienda ad alto contenuto tecnologico cosicché, quando nel ’96 creò il suo gruppo interno per la concessione di licenze all’esterno, nessuno si preoccupò del fatto che non aveva nulla da…cedere. «Il Tide (un detersivo che negli anni ’60 andava per la maggiore anche in Italia, ndr. ) è un prodotto ad alto contenuto tecnologico, proprio come il computer» rivendica il vecchio Sakkabk, «la gente non se ne rende conto perché non è quello il messaggio che noi trasmettiamo. Ma c’è un sacco di ricerca scientifica complicata in un prodotto come quello». Per i sostenitori dell’iniziativa a favore della concessione delle licenze, la sfida più grande è stata di tipo culturale: convincere chi aveva faticato per anni su di un tavolo da laboratorio a collaborare per dare in affitto i frutti del suo lavoro ad altre compagnie, comprese quelle rivali.

La dottrina Weedman
L’incarico ricadde su Jeff Weedman il quale, da subito, cercò di “far passare” le sue idee in P&G. Primo: la concessione di licenze non rende molto se non si è disposti a condividere le migliori idee brevettate. Secondo: gli innovatori all’interno di un’organizzazione hanno bisogno di un incentivo diretto e concreto per condividerle con le altre compagnie. Terzo e più importante: condividere il know-how con esterni può andare a vantaggio dell’azienda nel suo complesso perché si incentivano gli interni a prendere decisioni rapide per rimpiazzare idee e prodotti già disponibili per gli altri. In una parola si accelera il processo innovativo.
Jeff Weedman è un venditore nato. Entri nel suo ufficio e, prima che vi siate seduti per proporgli il vostro affare, vi ha già chiesto della famiglia, preso in giro per le squadre di football della vostra città ed offerto caramelle con ingredienti top-secret che ha inventato il suo gruppo.
Eppure Weedman è pronto ad ammettere che, all’inizio, ha avuto poco successo presso i suoi superiori cercando di convincerli che le sue idee potevano aiutare la compagnia, pur modificando la tradizionale cultura aziendale della P&G. Infatti, quando creò il suo gruppo di lavoro, l’azienda lo tenne il più isolato possibile, per evitare che potesse apportare i cambiamenti che aveva in mente. La maggior parte dei brevetti della P&G, infatti, era inaccessibile al gruppo per la concessione di licenze di Weedman e questi non poteva dare quasi nessuna autorizzazione. «Il nostro scopo era di autorizzare la diffusione di brevetti che non ci interessavano più», dice oggi il dirigente.
Inoltre tutti i redditi che il gruppo di Weedman ricavava dalla concessione di brevetti ad alto contenuto tecnologico, finivano nelle tasche dei dirigenti della compagnia, non ai gruppi di ricerca che avevano contribuito all’invenzione. I suoi capi gli avevano ordinato di lavorare in quel modo ma Weedman sapeva che stava violando alcune regole fondamentali della natura umana. Perché i tecnici avrebbero dovuto aiutarlo se non vedevano una lira degli introiti derivanti dagli accordi di licenza? «Convincere la gente a fare cose di cui non vedono nessun beneficio diretto è una missione impossibile», fa notare duro il manager. Weedman chiese un cambiamento nel ’98 e la sua tempestività non avrebbe potuto essere migliore. «I nostri obiettivi coincidevano esattamente con quelli di Durk Jager, a quel tempo direttore esecutivo in P&G, che stava tentando di accelerare il processo innovativo in azienda», spiega, «e uno dei nostri sostenitori più accaniti all’epoca era A. G. Lafley, l’attuale direttore esecutivo. Era certo che, aprendo maggiormente il portafoglio brevetti della P&G all’esterno e restituendo alle unità d’affari gli incassi delle concessioni, i tempi d’innovazione dei nostri prodotti si sarebbero accorciati».

Le scoperte taciute
Oggi, finalmente, ogni brevetto della P&G è a disposizione di chiunque ne faccia richiesta. Unici requisiti sono i cinque anni di vita del brevetto o, in alternativa, che sia stato usato in un prodotto della P&G per almeno tre anni.
Quando Weedman convinse i suoi superiori che i cambiamenti avevano un senso, dovette convincere anche i suoi colleghi di lavoro a non nascondere le loro scoperte. Il miglior esempio di come un accordo di concessione possa andare a tutto vantaggio dei ricercatori è quello stipulato tra la P&G e il gruppo Tropicana. Il brevetto permette alla Tropicana (azienda di succhi di frutta) di usare una formula scoperta dalla P&G che aiuta il corpo umano ad assorbire il calcio aggiunto alla spremuta. Questa tecnologia è sicuramente molto importante ma veniva usata poco dalla P&G, che la utilizzava per una sola bevanda importante, il Sunny Delight. Grazie all’accordo, il comparto alimenti e bevande della P&G può trattenere presso di sé gli introiti derivanti dalla concessione e usarli per ampliare ulteriormente il suo settore ricerca e sviluppo. «Ora tutto ciò che guadagniamo torna all’unità d’affari di competenza», dice Weedman, «anziché essere un elemento di disturbo e un peso per le loro attività mi sono trasformato in un’opportunità strategica».
La strategia competitiva coinvolta in questo processo è impeccabile. Se i concorrenti pagano per usare la vostra tecnologia avete sicuramente una marcia in più, perché sono loro che vi stanno staccando gli assegni. Se invece non gliela lasciate usare, hanno un incentivo per innovare. La vera conquista del gruppo per la concessione di licenze della P&G, tuttavia, è stata ancora più profonda e ingegnosa: aprendo il proprio portafoglio di proprietà intellettuale ai concorrenti, ci si obbliga a prendere decisioni più veloci in merito al genere di tecnologia che si vuole mantenere nei propri prodotti. Inoltre la liberalizzazione sprona a competere con se stessi per fare nuove scoperte più rapidamente e superare le invenzioni già messe a disposizione di altri. In effetti, state usando il passato per accelerare il futuro, trasformando i vecchi brevetti in una specie di molla per il processo innovativo.

Apertura significa guadagno
I tecnici ora sono molto più competitivi, stimolati dalla breve durata in cui le loro scoperte restano blindate all’interno della P&G. «In realtà io ero favorevole ad un periodo di scadenza più corto», spiega Weedman, «per la gente nell’industria del computer tre anni sarebbero un’infinità. Ma è stato uno sforzo vano perché la gente della P&G è molto razionale».
Quanto razionale? Durante gli ultimi dodici mesi, Weedman dice di avere avuto solo una conversazione con un dirigente dell’area ricerca e sviluppo della P&G che si lamentava per la data di scadenza imminente di un brevetto. «La maggior parte delle conversazioni in azienda sono in merito a quale sia il momento giusto per rendere accessibile agli altri la nostra tecnologia. Fino ad un paio d’anni fa si parlava solo di come fare per continuare a mantenerla segreta, all’interno», dice, «e molto presto vedremo la nostra tecnologia prima nei prodotti degli altri che nei nostri…». E allora i ricavi derivanti dalle concessioni dei brevetti torneranno alla P&G e serviranno per migliorare quella tecnologia ancora più velocemente.
Come calcolare il valore di un’iniziativa innovativa come questa? Quale il parametro che ne definisce il successo? Un modo può essere semplicemente quello di contare il numero di accordi stipulati. Finora il team di Weedman ne ha conclusi una almeno una cinquantina. «Ma la risposta corretta è, non abbiamo fatto abbastanza accordi e ne faremo di più!», afferma lui deciso, con un sorriso furbo sulle labbra. «Un buon accordo oggi è infinitamente migliore di uno fantastico domani. Diamo come premio un ferro di cavallo a chi è vicino ad un affare ma non l’ha ancora concluso ed è un premio che qui nessuno vuole». Weedman non rivelerà mai i ricavi che il suo gruppo ha procurato, lo scorso anno, alle altre unità d’affari della P&G ma siamo attorno ai 100 milioni di dollari (circa 2.200 miliardi di lire…)

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