In un’intervista su l’Unità del primo maggio (pensa, a volte, gli scherzi del calendario…) il neo ministro della Difesa Mario Mauro annuncia le linee guida che intende dare al proprio ministero. Senza sentire minimamente il dovere di spiegare da quali tremende minacce militari sia oggi necessario difendersi a giustificazione di quelle che anche l’inchiesta de l’Espresso di questa settimana definisce “le spese folli della difesa” , il ministro fa immediatamente suo il solito mantra della Difesa che “serve alla pace ed alla convivenza civile, per questo deve essere sempre al top delle prestazioni”, che – tradotto – significa che non si possono tagliare in alcun modo le spese militari. E a domanda specifica sulla possibilità di rivedere almeno l’acquisto dei caccia F-35 (in campagna elettorale ipocritamente disconosciuti da tutti i leader politici) dopo aver premesso che “investire vent’anni in un progetto e poi lasciarlo perdere tutto d’un colpo non ha senso”, riconosce che “bisogna entrare nel merito.”
Per entrare nel merito sia della questione specifica dei cacciabombardieri che di quella più generale della Difesa e delle sue spese folli, ci permettiamo di suggerire al ministro la lettura di un ottimo libro curato dai giornalisti Duccio Fracchini, Michele Sasso e Francesco Vignarca (quest’ultimo coordinatore della Rete Italiana Disarmo) Armi, un affare di Stato, uscito lo scorso settembre per Chiarelettere in collaborazione con Altreconomia. E’ un volume che affronta in maniera approfondita il tema del rapporto tra industria della armi, spese militari degli stati e guerre. Disvela in modo estremamente documentato le mistificazioni e gli interessi trasversali (legali e no) che hanno creato e sostengono il tabù dell’intangibiltà della spesa per gli armamenti, sia sul piano globale che nazionale. Senza svelare alcun mistero che non fosse già conosciuto a tutti gli “addetti ai lavori” – fin da quando il generale Eisenhower, già due volte presidente degli USA, nel 1961, alla fine del suo secondo mandato, metteva in guardia il successore J.F.Kennedy dall'”influenza indiscriminata esercitata dal complesso militare-industriale”- gli autori rimettono al loro posto il rapporto di causa ed effetto tra multinazionali delle armi, bilanci degli Stato e missioni di guerra.
Non a caso il volume di apre con due illuminanti casi di studio su come funziona il sistema: Grecia e Libia. In Grecia, per esempio, i governi europei (Germania e Francia su tutti) che chiedono pesantissimi tagli nel bilancio dello Stato ellenico per poter continuare ad usufruire dei prestiti sono gli stessi che hanno voluto “speciali garanzie sui contratti – già stipulati, o ancora da firmare – relativi alle forniture belliche”, al punto che – mentre l’Unicef denuncia il grave problema di malnutrizione dei bambini – il martoriato popolo greco si trova con un bilancio di spese militari pari al 3% del proprio PIL, incidenza seconda solo a quello degli USA. E la Grecia continua ad essere il principale importatore (circa il 15%) delle armi tedesche…
Attraversando i capitoli che raccontano i dettagli del “grande affare delle armi”, si passa dal colosso italiano di Finmeccanica al rapporto servizievole tra politica e mercato, dall’import/export di un settore in inarrestabile crescita agli acquisti pubblici dei grandi sitemi d’arma (per un costo complessivo, “basato sulle stime della Difesa, che quasi mai corrispondono al costo reale a consuntivo dei programmi”, di 49 miliardi di euro), fino all’F-35 “il caccia dello spreco”. Entrando nel merito del quale – proprio come intende fare il Ministro – gli autori raccontano le vicende che hanno portato il nostro Paese ad aderire al più grande programma d’armamento della storia, “simbolo perfetto dei meccanismi e degli sprechi connaturati al mondo degli armamenti e delle spese militari”. Se ne ricostruiscono le finalità politiche e militari, anche nucleari, statunitensi (ricordate nei giorni scorsi anche da un articolo di the guardian) ma incompatibili con la nostra Costituzione, ma anche le molte voci critiche provenienti da ambienti militari USA, l’esplosione dei costi, la bufala delle penali e l’inganno delle ricadute occupazionali.
Insomma, si trovano in questo pregevole lavoro molte informazioni che servono ad un neo ministro – finalmente civile! – che voglia svolgere il suo compito a difesa della Patria – e non delle lobby delle armi – senza pregiudizi ideologici e nel rispetto della Costituzione italiana, sulla quale ha giurato pochi giorni fa. Ma anche a difesa dei conti pubblici, in questa epoca di grave crisi economica nazionale e internazionale.
Il volume si conclude con un capitolo sulla convenienza economica del disarmo, nel quale si cita il Global peace index 2012, dal quale si evince che se si fossero ridotte globalmente “anche solo di un quarto il peso delle scelte armate si sarebbero risparmiati oltre 2250 miliardi di dollari, una cifra capace da sola di coprire il Fondo di stabilità europeo stanziato per contrastare la crisi dei debiti dell’Eurozona e, contemporaneamente, di garantire il raggiungimento degli “obiettivi di sviluppo del millennio” elaborati dalle Nazioni Unite per combattere la povertà nel mondo.” Non farlo è un crimine contro l’umanità, quanto le guerre che invece vengono alimentate.
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