Il Papa, al Sinodo straordinario sulla famiglia, è subito entrato al centro dei problemi. Poche parole, dette con grande calma e quasi fossero riflessioni che emergevano dal silenzio e dalla sofferenza.
“I cattivi pastori caricano sulle spalle della gente pesi insopportabili che loro non muovono neppure con un dito”. Bastano queste due righe per capire quanto Papa Francesco non tema divisioni e scontri.
“Le assemblee sinodali non servono per discutere belle idee e originali o per vedere chi è più intelligente. Siamo chiamati a lavorare per la vigna del Signore e non per impadronircene. Siamo tutti peccatori!”.
Il pastore vero è colui che sa ascoltare le angosce e sanare le ferite. La chiesa deve sentire il grido del popolo, cogliere i “battiti di questo tempo, e percepire “l’odore degli uomini di oggi”.
Questo Papa non ha tempo da perdere, non vuole deludere o illudere il popolo di Dio. Ricordo bene quello che diceva, prima di morire, il suo amico Cardinale Martini: “La chiesa è indietro duecento anni. Deve riconquistare credibilità tra la gente, soprattutto sui temi della sessualità e della famiglia. Le regole e i dogmi sono relativi: vanno posti al servizio dell’amore”.
Cosa succederà Dio solo lo sa, ma indietro non si torna e, soprattutto, con le angosce della gente non si scherza. Per noi preti di strada il foglietto che teneva tra le mani, alla veglia in San Pietro, valeva e pesava quanto una pagina del Vangelo.
Gesù si è messo dalla parte dei peccatori. I tre momenti più importanti della sua vita, Cristo li ha passati con due ladroni, con Maria di Magdala e con due discepoli delusi. Ho detto “momenti” perché non saprei come chiamarli. Noi mortali il tempo lo misuriamo con il tempo. Cristo, invece, lo misura con l’eternità.
I pochi minuti dolcissimi con Maria di Magdala valgono quanto le ore drammatiche con i ladroni, la cena con i due di Emmaus, gli anni con gli apostoli, i trent’anni della sua vita. Sono le scelte e non le dottrine che qualificano il Vangelo. La storia di ognuno di noi non permette a nessuno di giocare e di nascondersi dietro dogane pastorali che non sanno l’odore dell’uomo d’oggi, ma dei bizantinismi teologici di ieri.
Mi piace finire l’articolo con una perla che, come il solito, il Papa butta là, quasi fosse discorso normale. “Guai se i nostri interessi rovinano il sogno del Signore che è il suo popolo”. Noi siamo il sogno del Signore!
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