Cultura
Un santo per Brancaccio
Don Pino è stato un esempio educativo per tantissimi giovani.E morì sereno, guardando negli occhi il suo carnefice, poi pentitosi per davvero.
«Aveva una pistola puntata contro e solo pochi secondi di vita. Chiunque altro avrebbe reagito, gridando, chiedendo pietà o cercando di fuggire. Lui invece mi guardò negli occhi e disse solamente: ?Me l?aspettavo?, rimanendo sereno fino all?ultimo istante». Per Antonio Di Liberto, giovane responsabile del centro di accoglienza ?Padre Nostro? fondato otto anni fa da don Pino Puglisi a Brancaccio, nella periferia di Palermo, la prova più lampante della ?santità? del sacerdote ucciso dalla mafia il 15 settembre del ?93 sta tutta nel racconto dei suoi ultimi istanti di vita. E soprattutto nelle ultime parole, così come sono state riferite dallo stesso killer, Salvatore Grigoli, oggi pentitosi al punto da chiedere al sindaco del capoluogo siciliano di ricordare ogni anno ufficialmente il sacrificio del parroco. Per questo i ragazzi del Centro, che oggi ne proseguono l?opera, hanno accolto con soddisfazione ma senza troppa sorpresa l?annuncio fatto a fine dicembre dall?arcivescovo di Palermo, il cardinale Salvatore De Giorgi, sull?avvio del processo di beatificazione: «Don Pino sapeva perfettamente cosa rischiava con la sua azione nel quartiere», continua Antonio, «eppure è andato avanti senza guardare in faccia nessuno, aiutando i giovani del quartiere, educandoli alla rettitudine e alla legalità, e condannando nelle sue omelie senza appello i mafiosi e i trafficanti di droga. Eravamo sicuri perciò che prima o poi la Chiesa l?avrebbe riconosciuto come un martire dei nostri giorni, immolatosi in nome di Cristo, della dignità degli uomini e della rinascita delle coscienze».
E il riconoscimento c?è stato, eccome: proprio nel venticinquesimo anniversario della sua ordinazione a vescovo, De Giorgi ha definito Puglisi «la perla del nostro presbiterio, un punto luminoso di riferimento per il cammino della nostra Chiesa verso il terzo millennio cristiano», definendo un «sacrilegio» la sua uccisione. Il piccolo prete-coraggio di San Gaetano a Brancaccio potrebbe essere così il primo martire della criminalità mafiosa, il che – tutti concordano – sarebbe un precedente importantissimo. «Era proprio ora», commenta Pino Toro, animatore del movimento ?Città per l?Uomo?, «speriamo che la scelta del cardinale rappresenti un forte segnale per la Chiesa siciliana e per tutti i credenti dell?Isola». Una ?lobby? trasversale (composta, tra gli altri, dallo stesso Toro, da don Mario Golesano, successore di Puglisi, dal missionario laico Biagio Conte, da altri preti di trincea palermitani come Baldassarre Meli, Cosimo Scordato, Francesco Collodoro, Franco Romano e dal padre del pool antimafia, Antonino Caponnetto), si era già proposta come garante della santità di don Puglisi, scrivendo direttamente a Giovanni Paolo II: «Don Pino ha vissuto e incarnato la sua fede cristiana e la sua vocazione sacerdotale in quel crocevia di falsità e menzogna, di prevaricazione e sfruttamento, di violenza e morte dove il male è diventato struttura, agendo come principio di mutazione individuale e sociale nel quartiere di Brancaccio, senza mai vivere però la sua testimonianza come un?arma provocatrice o un?occasione di protagonismo». «La sua prova serena e tranquilla, eppure coraggiosa e fattiva – si legge in un altro passo della lettera -, potrebbe aiutare i credenti di Sicilia a trasformarsi nei più efficaci e determinati liberatori dell?Isola da quella forma di peccato originale che è la mafia». Un privilegio che don Scordato ha proposto anche per il giudice Paolo Borsellino, impegnato pure lui a costo della vita per il riscatto del popolo siciliano.
A cinque anni esatti dalla morte (il tempo minimo necessario, spiegano dalla Curia) comincia dunque il processo di beatificazione di don Puglisi, un cammino lungo che prevede una prima fase istruttoria, con la raccolta di testimonianze sulla sua vita, che sarà condotta dal tribunale diocesano di Palermo, e poi, dopo un anno circa, sostenuta da un ?postulatore? davanti alla Congregazione per le cause dei Santi, in Vaticano. Se in quella sede verranno accertate le cosiddette ?virtù eroiche?, allora verrà proclamato Venerabile; quando poi sarà stato accertato almeno un suo miracolo, don Pino potrà divenire ?Beato?, per disposizione del Papa. Tutto potrebbe però essere accelerato dal riconoscimento dello status di ?martire?, colui che, secondo la dottrina cattolica, è stato ucciso ?in odio alla fede?. Ma di ?miracoli? in terra, per i ragazzi del ?Padre Nostro?, don Puglisi ne ha già fatti almeno due. «Da vivo», spiega Antonio, «ha convinto i ragazzi e le donne di Brancaccio a uscire dalle case e a frequentare il Centro, usufruendo dei servizi e partecipando alle varie attività». «Un?ora in più rimaniamo aperti, un?ora in meno un bambino resta in strada», diceva sempre don Pino. Oppure: «C?è chi potrebbe dire: ma non dovrebbe pensarci lo Stato? Intanto pensiamoci noi, così il nostro agire diventa protesta, sperando che chi di dovere capisca». Concetti questi che, nel regno dei boss Graviano, suonavano come pura eversione.
«Da morto invece», continua Antonio, «ha fatto sì che i riflettori si accendessero una volta per tutte su questo quartiere: il mondo intero ha scoperto Brancaccio, sono nate diverse associazioni di volontariato e anche il Comune ha cominciato a occuparsi di questa parte di città, aprendo un centro polivalente con auditorium, biblioteca e palestra, dove prima c?era un deposito abbandonato. Purtroppo tutto ciò non basta ancora, come non bastano le retate contro i criminali:la scuola della mafia è sempre attiva e funziona meglio delle scuole pubbliche». Certamente meglio di quella scuola media che don Pino aveva appena finito per l?ennesima volta di richiedere in Comune, lo stesso giorno in cui fu ammazzato.Ancora oggi, non ha neanche aperto i battenti.
Un modello di centro
«Il nostro obiettivo è continuare a riconquistare spazi e aprirci sempre di più al territorio, venendo incontro alle esigenze degli abitanti di Brancaccio». Quello che all?inizio era solo un centro di accoglienza e promozione umana della parrocchia, dove si faceva doposcuola ai bambini e assistenza a domicilio per i malati, grazie all?impegno di don Golesano e dei ragazzi di don Puglisi è diventato oggi un punto di riferimento. Nelle stanzette del ?Padre Nostro? in via Brancaccio 461 si può usufruire di un consultorio familiare, di una ginecologa, di un avvocato e di assistenti sociali. Ultimamente sono stati avviati corsi di pittura su seta per le donne, finalizzati alla creazione di piccole imprese, «perché non vogliamo dare solo pesci, ma soprattutto insegnare a pescare», dice Antonio Di Liberto. Infine, grazie a uno dei molti gemellaggi del Centro, quello con il Villaggio Pestalozzi in Svizzera, quindici ragazzi dei quartieri più disagiati di Palermo stanno compiendo i loro studi nella Confederazione Elvetica.
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