Cultura

Un rito collettivo nel nome di PPP

Al Meeting di Rimini decine e decine di persone si susseguono nella lettura di pagine di Pasolini. Accade alla fine della mostra che gli è stata dedicata in vista del centenario del prossimo anno. Una dimostrazione di quanto questo intellettuale continui a parlare al nostro tempo

di Giuseppe Frangi

Al Meeting di Rimini si sta consumando un inatteso rito collettivo: decine e decine di persone in fila per vedere una mostra dedicata a Pier Paolo Pasolini. Al termine del percorso in tantissimi chiedono di poter partecipare al “live” leggendo qualche pagina di PPP, nell’apposita postazione allestita all’ingresso: una diretta che esce dai confini della Fiera in quanto ritrasmessa dai canali YouTube e Facebook di Casa Testori, l’associazione culturale che ha progettato mostra e performance partecipata.

Non è facile incontrare e leggere Pasolini oggi. È un intellettuale che non si lascia metabolizzare facilmente, che si mette di traverso a tutte le certezze in cui ciascuno comprensibilmente si protegge. È anche un intellettuale “duro”, che non edulcora mai le parole, che mette anche ansia con i suoi giudizi e le sue visioni. È un’intelligenza inquieta, che continua a seminare inquietudine in chi lo accosti. Eppure Pasolini oltre a scuotere, oltre a spiazzare e a dare scandalo, oggi sembra aver attirato su di sé una sorta di energia affettiva. Il percorso proposto a Rimini è composto da sei video che esplorano sei situazioni chiave dell’avventura pasoliniana, dal rapporto con la madre Susanna Colussi fino ai mesi cupi che hanno portato alla sua morte. Sono situazioni che testimoniano un’assoluta originalità e che insieme documentano come al fondo di ogni opera o presa di posizione di Pasolini, non ci sia mai una risposta, ma una grande domanda. La domanda è il metodo poetico che lo accompagna per tutta la vita (le domande che chiudono Teorema, o le domande “moderne” rivolte a San Paolo nella sceneggiatura di un film mai fatto). Sono queste domande, che a volte prendono la forma di vere implorazioni, quasi delle suppliche, come nel finale della celebre poesia alla madre che lui stesso legge ad inizio percorso.

È questa estrema sincerità, assolutamente insolita in un intellettuale, a colpire i tanti che si avvicendando nel percorso riminese. La sincerità di un uomo ferito che non si protegge mai dietro la forza culturale di teorie o tesi. E che non cerca neanche rifugi in un passato che pur ha tanto amato e che tanto dimostra di conoscere e saper leggere. È un uomo che non sposta mai il problema su altro, ma accetta di viverlo sulla propria pelle. Insomma si mette in gioco con una lealtà a volte molto dolorosa. Come documenta questo passaggio di una lettera scritta a don Giovanni Rossi, all’indomani dell’uscita del Vangelo secondo Matteo: «Io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti della vita o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre».

È forse per questo che in tanti hanno voluto calarsi nelle parole di Pasolini, come in un gesto di condivisione e anche di gratitudine.

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