Cultura

Un ricordo Universal di nuova cosmologia

Recensione del cd "Universal Consciousness" di Alice Coltrane.

di Enrico Barbieri

Dopo è venuta la new age, per suggerire con le sue musichine da hall d?albergo che il mondo va avanti in perfetta armonia, mentre qualche dio (meglio se da Oriente) lo osserva con occhio benevolo. Tutt?altra sostanza avevano i canti d?amore di alcuni anni addietro, prima della degenerazione mistica. A metà degli anni 60, John Coltrane regalò al mondo A Love Supreme, il più grande inno religioso del Novecento: espressione musicale di una fede senza nulla di conciliante. Fatta anzi di scrosci, temporali, nuvole oscure. E, certo, anche d?improvvise schiarite. Il disco era un atto eretico, anche dal punto di vista musicale: porte aperte a un nuovo jazz furioso e libertario. Su questa strada impervia Coltrane si fece accompagnare dalla moglie Alice, pianista e arpista. Che dopo la morte di John volle continuare il cammino. Nel 1971 Alice registrò Universal Consciousness, ora finalmente ripubblicato dalla Verve. Un ritorno importante per un disco violento in cui Alice, attraverso le sue fughe d?organo o con l?arpa tra le dita disegna una nuova cosmologia dove trovano spazio aneliti cristiani, spiritualismo induista e fede musulmana (ad Allah è dedicato il terzo brano). Dalla musica una lezione importante, visti i tempi. Al disco parteciparono Jimmy Garrison, il percussionista Rashied Ali e il grande Ornette Coleman: tutta gente che sapeva guardar lontano ben prima della recente ubriacatura etnica, ma che oggi non metterebbe mai piede in un Buddha Bar.

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