Politica
Un ricercato come presidente
Gli scenari possibili dopo la vittoria di al-Bashir
Cosa succederà ora? Le elezioni in Sudan, il più grande Paese africano, sono andate secondo copione. Omar al-Bashir, secondo quanto riferito dalla Commissione elettorale nazionale, ha ottenuto l’86 per cento dei suffragi. L’uomo salito al potere con un colpo di stato nell’86 è uscito legittimato dalle prime elezioni multipartitiche da 24 anni a questa parte.
Non importa che gli osservatori internazionali dell’Unione europea e del Carter Center, il centro per la democrazia e i diritti umani fondato dall’ex presidente Usa Jimmy Carter, abbiano dichiarato che le elezioni «non hanno rispettato gli standard internazionali». E neppure conta che le voci della società civile locale siano state silenziate – il Sudan Vote Monitor, un sito interattivo per il monitoraggio delle elezioni creato da gruppi della società sudanese per monitorare le elezioni è stato oscurato per cinque giorni la scorsa settimana, proprio mentre stava raccogliendo testimonianze sulle irregolarità nei seggi -.
Il risultato non cambia: Omar al-Bashir, l’uomo ricercato dalla Corte penale internazionale per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Darfur è il presidente democraticamente eletto del Sudan. Quello che conta è capire quali scenari si apriranno ora.
A provarci è stata un’organizzazione non profit, la Heinrich Böll Foundation, pubblicando un rapporto realizzato con il contributo di esperti sudanesi e internazionali. Nel rapporto si legge che è stata proprio la decisione della Corte Penale Internazionale di spiccare un mandato d’arresto contro al-Bashir uno dei fattori che hanno danneggiato il potenziale esito positivo dell’accordo di pace firmato nel 2005 (Comprehensive peace agreement ) fra governo e il Sudanese Paople’s Liberation Movement, dopo vent’anni di guerra.
«La logica della responsabilità legale per crimini commessi si scontra con la logica politica che punta a negoziare una trasformazione della politica sudanese. Per il presidente sudanese, e per i suoi sostenitori, l’obiettivo politico predominante è diventato la sopravvivenza personale. Per al-Bashir perdere la sicurezza che proviene dal detenere il potere significa diventare vulnerabile, e magari essere consegnato da un successivo governo all’Aia, come è accaduto per l’ex presidente della Yugoslavia Slobodan Milosevic». Secondo il rapporto «La sfida della Corte Penale ha spinto il partito al governo verso una disperata ricerca di legittimità e a cercare questa legittimità nella rielezione del presidente al-Bashir».
Di altro parere è Amnesty International: «C’è una certa tendenza a trovare tutte le giustificazioni possibile per dare un colpo d’arresto all’azione della Corte Penale» afferma Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. «La nostra obiezione è sempre la stessa: non c’è pace se c’è impunità. Ormai va di moda dire che la persona ricercata per crimini di guerra e crimini contro l’umanità è quella senza la quale non si può fare la pace in Darfur, e quindi è meglio che non la si disturbi».
L’elezione di al-Bashir non cambia la situazione del presidente sudanese, secondo Amnesty International: «Auspichiamo comunque che la giustizia faccia il suo corso» commenta Noury, «Il fatto che sia legittimamente in carica dopo le elezioni non elimina le sue responsabilità per crimini contro l’umanità».
Tra gli scenari più preoccupanti del dopo-elezioni c’è quello che si apre in Sud Sudan. «Siamo molto preoccupati. Secondo i dati che abbiamo raccolto il Sud è una polveriera pronta a esplodere» afferma Noury. È previsto per la primavera del 2011 il referendum che dovrebbe decidere l’indipendenza del Sud dal Nord Sudan, ma «bisogna vedere come si arriverà a questa scadenza, e come sarà la situazione per quanto riguarda i diritti umani» afferma Noury. «I segnali che arrivano dalla regione sono tutt’altro che positivi».
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