Famiglia

«Un ragazzo ha valore perché esiste», Alberto Bonfanti di Portofranco premiato da Mattarella

Questo venerdì Alberto Bonfanti presidente di Portofranco, realtà milanese che aiuta gli adolescenti a superare le loro difficoltà scolastiche attraverso il supporto e l'accompagnamento nello studio, verrà insignito di un'onorificenza al merito della Repubblica dal presidente Sergio Mattarella. L'associazione, da 23 anni, sta vicino ai giovani, con la convinzione che ognuno di essi abbia valore come persona, a prescindere dai risultati scolastici.

di Veronica Rossi

«Un ragazzo ha valore perché c’è, perché esiste, non per i suoi risultati scolastici». È questo il pensiero di Alberto Bonfanti, professore di storia e filosofia e presidente dell’associazione Portofranco di Milano, che aiuta studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado in difficoltà e offre assistenza per il recupero dei debiti formativi. Venerdì Bonfanti riceverà una delle 30 onorificenze al merito della Rebubblica che il presidente Sergio Mattarella ha conferito motu proprio, «per il costante impegno profuso nell’accompagnare i ragazzi nello studio attraverso una rete di volontari composta da insegnanti, anche in pensione, e giovani universitari».

Professore, come nasce Portofranco?

L’associazione ha le sue radici in una cena di alcuni insegnanti assieme a don Giorgio Pontiggia, allora rettore dell’Istituto Sacro Cuore di Milano, nella primavera del 2000. Ci ha provocato, dicendo che avremmo dovuto creare un luogo dove i ragazzi potessero essere incontrati e visti per quello che sono realmente, dove potessero condividere i loro bisogni ed essere accompagnati per soddisfarli. Una realtà libera, in cui i giovani fossero aiutati a studiare e, concretamente, anche a scoprire la bellezza dello studio. Da rettore, lui diceva «L’istituzione scolastica è una convenzione sociale, ma il gusto della conoscenza non lo è». Ha proposto a me e ad altri di iniziare a elaborare un progetto per avere dei locali in affitto e di coinvolgere i nostri amici insegnanti e universitari perché facessero delle lezioni gratuite; abbiamo ottenuto da Comune di Milano il luogo dove siamo ancora adesso, anche se allora lo spazio era più misurato, e abbiamo trovato dei fondi per ristrutturarlo.

In questi 23 anni, ha visto un’evoluzione nei disagi e nei bisogni degli adolescenti?

I ragazzi, per quella che è la mia esperienza, hanno sempre lo stesso bisogno, che però è come se fosse incrementato sempre di più nel corso del tempo: essere accompagnati ed essere trattati innanzitutto per come sono, non per la misura della prestazione che riescono a dare in un determinato momento. Io riscontro che anche solo la compagnia di un adulto che lo riconosce può aiutare un adolescente ad aprirsi; ultimamente c’è sempre più una tendenza al solipsismo e all’individualismo, che può essere sconfitto solo da un’attenzione gratuita.

Come mai c’è questa tendenza, secondo lei?

Sicuramente entrano in gioco dei fattori culturali: l’individualismo di oggi spinge verso questa visione. Soprattutto c’è l’idea che una persona è la performance che raggiunge, per cui un adolescente, quando vede che non è in grado di realizzare qualcosa che sente di dover fare, si autoesclude anche dal contesto sociale. C’è una mentalità che è stata assorbita, non coscientemente, dai ragazzi, per cui pensano che bisogna riuscire a realizzare una determinata prestazione anche per meritarsi di essere amati o ben voluti: questo influisce pesantemente sulla sensibilità dei più giovani. Poi, ovviamente, anche la pandemia ha accentuato questa chiusura.

Secondo lei, quindi, l’accento che si mette oggi sul merito può essere pericoloso?

Può essere pericoloso se viene usato come misura per definire un ragazzo. Ma se il punto di partenza è che la persona vale perché c’è, perché esiste, allora il merito diventa un’opportunità di crescita. A Portofranco, per esempio, abbiamo osservato che molti studenti, se percepiscono l’affetto verso di loro e il loro destino, migliorano e si appassionano anche dal punto di vista scolastico. Io sono un insegnante, non posso non giudicare le prestazioni dei ragazzi; devo stare attento, però, e ricordarmi che il voto che io do all’interrogazione di storia o di filosofia non è la misura di quanto vale la persona, ma un’occasione per mostrarle che cosa può fare diversamente e come può aumentare le sue capacità.

Cosa manca all’istituzione scolastica?

Ci devono essere sempre più adulti che hanno una passione educativa verso i ragazzi. La scuola, l’istituzione, dovrebbe favorire questo coinvolgimento. Ormai insegno da tanti anni e ultimamente mi sta colpendo il desiderio di molti giovani di fare gli insegnanti. Certo, c’è sempre la questione ormai famosa degli stipendi, che dovrebbero essere adeguati per garantire a chi voglia fare questo mestiere di farlo avendo una famiglia e una vita dignitosa. Poi, la scuola dovrebbe diventare sempre di più un luogo di collaborazione e di amicizia tra i docenti; quando ho visto il film di qualche anno fa, «L’attimo fuggente» (pellicola del 1989 diretta da Peter Weir, dove Robin Williams interpreta un insegnante fuori dalle righe in un collegio maschile, ndr) mi si è gelato il sangue: l’educazione non è la capacità geniale di un singolo individuo, ma il frutto di una comunità che si prende carico del destino dei ragazzi.

Come la fa sentire questa onorificenza da parte del presidente della Repubblica?

Il mio sentimento è di grandissima gratitudine per questa storia, che dura da 23 anni e che spero andrà avanti ancora molto tempo. Ho incontrato tanti ragazzi e tanti volontari che mi hanno fatto crescere umanamente.

Le pensa che questa iniziativa di Sergio Mattarella possa denotare un interesse delle istituzioni verso i ragazzi e le loro difficoltà?

L’attenzione del presidente della Repubblica verso una realtà come la nostra è segno della sua grande sensibilità civile, sociale e morale. Nei suoi discorsi, fa sempre riferimento al tema della dispersione scolastica, che io sono convinto sia l’origine di tanti disagi, perché la scuola è il primo impegno nella vita dei giovani. Se falliscono in questo, vanno a cercare il protagonismo lungo altre strade, lecite e non.

La dispersione scolastica è un fallimento della scuola, della società o di qualcun altro?

Quando c’è un fallimento ci sono sempre diverse concause. Certamente, è un fallimento dell’istituzione scolastica e del consiglio di classe: una bocciatura non è mai una vittoria, anche se a volte, a qualche ragazzo, può fare bene per rimettersi sulla strada giusta. A volte la colpa è dello stesso studente, che non si è impegnato come avrebbe dovuto, non tutto dipende dalla società. Poi c’è anche la responsabilità della famiglia e del contesto. A prescindere dai motivi, però, quello che è interessante è che ciò che permette di riaccendere un giovane è l’atteggiamento di simpatia totale per la sua persona da parte degli adulti che possono accompagnarlo lungo il suo percorso. Non è semplicemente buonismo: ho visto persone recuperare una posizione di dignità personale. Mi piace ricordare tutti i ragazzi, venuti da noi, che pensavano di non finire la scuola e invece si sono laureati.

C’è qualche storia che le è rimasta particolarmente impressa?

Venerdì, potrò portare a Roma due accompagnatori. Uno di questi sarà un ragazzo che ora ha 32 anni, che adesso è sposato, ha un figlio, un altro in arrivo, è laureato e lavora all’Eni. Quando tanti anni fa è venuto da noi, non voleva nemmeno pensare di arrivare a finire la scuola, ora è entrato nel direttivo di Portofranco e fa parte dello staff. Questa è solo una delle tante belle storie che abbiamo visto in questi 23 anni di attività.

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