Sostenibilità
Un programma che coniuga parchi e occupazione
Un piano che interessa 47 aree protette e 137 comuni
Un progetto che coniughi le aree protette e le possibilita’ occupazionali che esse sono in grado di sviluppare. E’ questa la ricetta proposta dall’Arp, (agenzia regionale parchi) che ha promosso la ricerca ‘Analisi socio-economica delle aree protette del Lazio’, prendendo in esame ben 137 comuni del lazio e 47 aree protette, e i cui risultati sono stati presentati oggi nel corso di una conferenza stampa che si e’ tenuta presso la Sala Tirreno della Regione Lazio a Roma. La differenziazione delle realta’ locali, che emerge in modo evidente dall’indagine, e’ la spinta alla ricerca di soluzioni differenziate, e tali soluzioni devono scaturire da un modello di sviluppo che coniughi gli aspetti strutturali delle aree interessate con i rapporti interpersonali di coloro che vivono all’interno di queste. L’analisi e’ suddivisa a sua volta in due studi: un’indagine socio-economica curata dalla dottoressa Nicoletta Cutolo, dell’Arp, e un’indagine strategica commissionata dall’Arp all’ingegnere Paolo Belloc, con l’obiettivo di chiarire se il patrimonio ambientale-naturalistico puo’ produrre risultati vantaggiosi per le collettivita’ locali in termini di reddito e occupazione.”Per ottenere uno sviluppo sostenibile delle aree protette – ha detto la dottoressa Cutolo – occorre che il patrimonio ambientale venga integrato nel piu’ ampio contesto delle risorse economiche locali”. ”E’ necessaria un’organizzazione – ha continuato Cutolo – all’interno di un progetto strategico di ampio respiro che coinvolga gli enti locali e le popolazioni che vivono sul territorio.” Dall’indagine socio-economica sono poi emerse alcune caratteristiche: la disomogeneita’ economico-sociale dei comuni e delle aree protette, valutata in rapporto a quattro dimensioni (gli aspetti demografici; le condizioni economiche della popolazione residente; lo sviluppo produttivo del territorio; e la dipendenza economica del territorio dall’esterno); la seconda caratteristica e’ risultata essere l’antropizzazione come uno dei principali pericoli cui vanno incontro le aree protette; per finire, le condizioni socio-economiche delle diverse zone prese in esame.Il secondo studio, eseguito dall’ingegnere Paolo Belloc, riguarda le possibilita’ di realizzazione di un nuovo modello di sviluppo. ”Non sempre gli attori locali sono in grado di presentare progetti di sviluppo validi per il loro territorio.” – ha detto Belloc – ”Non bastano gli interventi strutturali se localmente non c’e’ la volonta’ e la maturita’ necessari al mantenimento dello sviluppo”. ”Spesso finita la sovvenzione da parte delle autorita’ centrali, – ha continuato l’ingegnere – finisce anche lo sviluppo, poiche’ gli attori locali non hanno sufficiente informazione, e non dispongono degli strumenti di analisi ne’ delle risorse necessarie.” Anche le autorita’ centrali, secondo Belloc, hanno una parte delle responsabilita’ perche’: ”non ripartiscono le risorse in modo efficiente”. ” Obiettivo della ricerca e’ quindi aiutare non solo le popolazioni del luogo ma anche le regioni”. ” Per questo – ha sottolineato Belloc entrando nel vivo dell’indagine – il modello della ricerca vuole coniugare i due aspetti del meccanismo dello sviluppo: l’aspetto strutturale e l’aspetto istituzionale, inteso come rapporti interpersonali”.Soddisfatto della ricerca anche il professore Luigi Fruda’, dell’Universita’ ‘La Sapienza’ di Roma, presente all’incontro con la stampa. ”Il piano della ricerca – ha precisato il sociologo – produce conoscenza, non da’ cioe’ istruzione ai decisori pubblici, ma mette in evidenza alcune dinamiche molto interessanti: il valore della disomogeneita’ che attiva la differenza delle priorita’ e delle risorse da distribuire, e la dimensione del tempo lungo necessaria nelle scelte da fare in questi casi”. ”Dinamiche – ha concluso Fruda’ – che sottolineano la necessita’ di partire da uno sviluppo endogeno.”
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