Mondo

Un premio buttato via

Vittorio E. Parsi boccia il riconoscimento al presidente Usa: «Una cosa irritante»

di Maurizio Regosa

«Pensavo fosse una battuta. Che gli hacker fossero entrati nel sito dell’Accademia». La notizia del Nobel per la pace a Barack Obama, trovaassai scetticoVittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali in Cattolica. La cui bocciatura arriva da Trieste (dov’è per un convegno sui Balcani, organizzato da Mcl). Ed è senza mezzi termini: «Una cosa irritante. Non si è mai visto. Un premio alle aspettative, alle buone intenzioni, alla buona volontà, alla bella retorica».

Perché non era il caso di attribuirlo?

Un conto è premiare San Suu Kyi, un altro conto il presidente Usa, per definizione l’uomo più potente del mondo. Voglio dire che, a mio avviso, lo scopo del Nobel dovrebbe essere quello di dare protezione e potere a chi non ne ha. Salvo quando è un riconoscimento per meriti storici. Wilson lo ricevette, ma parliamo dell’inventore della Società delle nazioni. Nel caso di Barak Obama non abbiamo ancora visto risultati.

Un premio inutile o prematuro?

Forse anche dannoso. Nel senso che accentua il carico di aspettative palingenetiche che già gravano sulle spalle di quest’uomo che per quante qualità abbia. Anch’io gliele riconosco, ma se continuiamo ad alzare le aspettative, prepariamo il terreno a una grande delusione. Se, per ipotesi, Obama dovesse decidere tra sei mesi un’azione dura nei confronti di Teheran, che facciamo? Ci facciamo ridare indietro il premio?

Anche Obama era sorpreso.

Non si può dare la colpa a uno perché gli danno un premio, ma c’è da chiedersi cosa sia passato per la testa ai simpatici membri dell’Accademia delle scienze. Mi sarebbe piaciuto un gesto più alto da parte sua. Rifiutare sarebbe stato uno sgarbo, ma avrebbe potuto dire: «vi ringrazio, lo vengo a ritirare tra tre anni o tra otto se faccio un secondo mandato. Se in coscienza sentirò di aver fatto abbastanza per meritarmelo». Sarebbe stato un beau geste che avrebbe superato la bravata di quelli di Stoccolma.

Ma come se la spiega la «bravata»?

Viviamo in una dittatura mediatica, che non è quella di Berlusconi. Ma trasforma tutto in palcoscenico. Quindi anche il Nobel. Mi ricordo le polemiche perché la Chiesa cattolica ha iniziato a beatificare Giovanni Paolo II a cadavere ancora caldo. «Santo subito», si diceva. Obama è santo prima. Sembra veramente un segno della consunzione dei tempi. Non si capisce più chi cerca pubblicità su che cosa. Chi porta notorietà a chi. I nomi che circolavano erano tanti. Addirittura si diceva che scegliessero un dissidente cinese. Qualcuno senza voce, senza nome.

Chi lo difende, dice che si è premiato il metodo dialogante…

Allora dovevano darlo anche a Clinton, a Bush padre, a una sequela di presidenti democratici e repubblicani che dal dopoguerra si sono mossi prevalentemente con il multilateralismo e non in maniera così spiccatamente unilaterale come George W. Bush.

Il multilateralismo di Obama colpisce perché viene dopo Bush junior?

Sì. Ma nel suo metodo non c’è niente di nuovo: Obama sta tornando alla buona, sana, classica politica multilaterale degli Stati Uniti in un contesto in cui gli Usa hanno più difficoltà. Io sono d’accordo con quel che dice Madeleine Albright: «gli Usa sono multilaterali quando possono, unilaterali quando devono». La differenza tra l’America di Clinton e quella di Obama è che la prima era in crescita, mentre oggi non lo è: in termini di Pil gli Usa oggi sono nella situazione della fine degli anni 80.  

 

 

 


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