Famiglia

Un popolo in marcia. Destinazione Genova

Lillipuziani e centri sociali, cattolici e laici, metalmeccanici e ambientalisti: il popolo dell'antiglobalizzazione marcia verso Genova. Con un patto: no alla violenza

di Carlotta Jesi

Apocalipse no: no ai gavettoni di sangue infetto, no alle trappole anti uomo, no ai sabotaggi informatici. Gli attivisti anti G8 hanno risposto così – il copyright dello slogan è del Genoa Social Forum – al rapporto dei servizi segreti diffuso il 20 maggio secondo cui centri sociali e associazioni di tutta Europa starebbero preparando armi non convenzionali per trasformare il G8 di Genova in una guerra batteriologica. Apocalipse no: per il Summit fra gli otto premier più potenti della terra, che secondo la mailing list sul G8 della Rete di Lilliput potrebbe saltare all’ultimo momento come è successo alla conferenza di Barcellona della Banca Mondiale annullata il 21 maggio, il popolo di Seattle ha altri programmi. Per cominciare, scuotersi di dosso questa pesante etichetta che i media gli hanno appiccicato nel dicembre del 1999 e che, di summit in summit, è diventata sempre più ingombrante: a Genova sono attesi circa 100 mila attivisti diversissimi fra loro. Una galassia di associazioni, ong, sindacati e centri sociali con un obiettivo comune – bloccare il vertice – ma idee molto diverse su come riuscirci. Il primo a svelare i sui programmi è Tonio Dell’Olio di PaxChristi, movimento cattolico internazionale per la pace: «Abbiamo aderito al Genoa Social Forum, la rete di quasi 400 ong, associazioni e sindacati che hanno firmato un patto di azione non violenta per il Summit. Ma manifesteremo il nostro dissenso verso questo gruppo di potenti amici che si incontrano senza essere stati legittimati da nessuna istituzione internazionale in modo diverso dagli altri attivisti del Forum: una veglia di preghiera organizzata insieme al pastore valdese Bonnes a cui inviteremo tutti i premier, una tenda del silenzio in cui riflettere e digiunare che innalzeremo appena fuori dalla zona rossa insieme ai movimenti missionari e tanta formazione sui temi del summit nelle parrocchie di tutta Italia». Completamente diversa la protesta anti globalizzazione che sta preparando il centro sociale Leoncavallo di Milano, anch’esso fra gli iscritti al Genoa Social Forum: un corteo in difesa dei diritti degli immigrati il 19 luglio, uno sciopero del sindacalismo di base per difendere i lavoratori atipici e precari il 20 e una manifestazione il sabato. Niente sfascio di vetrine, molotov e botte, come paventato dai servizi segreti, dunque. Daniele Farina, neo eletto al Comune di Milano per Rifondazione, rassicura sulle intenzioni dei leoncavallini: «Abbiamo sottoscritto un patto di non coinvolgimento della città, a Genova vogliamo portare un messaggio di disobbedienza civile difendendo le ragioni di chi vuole una globalizzazione fatta dal basso. Certo è che, negando la libertà di manifestare, il governo non fa che creare i disordini che paventa». Con un occhio a Roma, dove prende forma il nuovo esecutivo, e uno alle altre capitali del G8, si prepara invece al Summit la campagna “Sdebitarsi” che a luglio sfilerà per Genova chiedendo a Bush e compagni di cancellare il debito dei Paesi poveri. Spiega Luca De Fraia: «Come dimostra la conferenza sui Paesi poveri dell’Onu appena conclusasi a Bruxelles senza impegni precisi per la cancellazione del debito, i giochi per il momento non si fanno a Genova: continuiamo quindi la nostra campagna coi governi del G8». Che per paura delle loro proteste Veronica Lario in Berlusconi abbia annunciato di non presenziare al vertice, agli attivisti di destra e di sinistra, laici e cattolici, italiani e stranieri che formano la galassia dell’anti summit poco importa. Secondo Ugo Intini, sottosegretario agli Esteri del Governo uscente, una vera first lady della scena internazionale sarebbe pronta a scendere a Genova per mediare fra le ragioni dei manifestanti e dei premier: il Commissario per i Diritti Umani Mary Robinson. Evidentemente per nulla spaventata da un controvertice che, per il momento, si annuncia più come un colorato suk che come una guerra. A due mesi dal Summit, infatti, nelle piazze di Genova oltre ai banchetti montati dagli attivisti per spiegare la posta in gioco al vertice cominciano a spuntare le prime maglietette col logo del G8 e perfino pubblicità di alberghi che “accettano il popolo di Seattle”. «Già, perché in una città blindata anche l’alloggio dei manifestanti diventa un problema», spiega Stefano Lenzi del Wwf, l’associazione che sta coordinando la mobilitazione ambientalista e ha creato una banca dati sul suo sito Internet per chiedere alle famiglie genovesi di ospitare gli attivisti che scenderanno a Genova per difendere il protocollo di Kyoto e la compatibilità socio ambientale. «Facciamo parte della Rete di Lilliput», continua, «e insceneremo una protesta non violenta organizzando forum pubblici di discussione a Genova e nel resto d’Italia dal 14 al 22 luglio». Negli stessi giorni, contro la sperequazione del potere dei forti nei confronti degli ultimi, si impegneranno anche gli scout dell’Agesci che hanno aderito alla Rete controG8. «Ma senza manifestare a Genova», specifica Alessandro Volpi, «racconteremo invece ai nostri ragazzi qual è la posta in gioco al vertice per aiutarli a crescere come cittadini in grado di scegliere e di lasciare il mondo migliore di come l’hanno trovato». Eduardo Missoni Non boicottiamolo Il G8 è un organo consultivo nato dall’esigenza dei governi più potenti del mondo di confrontarsi su temi economici e, da qualche tempo, anche legati allo sviluppo. Come tale, dunque, è perfettamente legittimo. E va lasciato lavorare. Invece di bloccarlo, la società civile deve mobilitarsi perché non diventi un organo di governo. E cioè spingere perché le scelte dei G8 vengano votate da organismi come l’Onu, dove ciascun Paese ha un voto indipendentemente dalla sua richezza e può quindi bocciare scelte contrarie all’interesse dell’umanità. Ciò che accade oggi, invece, è che le decisioni prese dagli otto premier finiscono davanti all’Organizzazione Mondiale del Commercio o alla Banca Mondiale, dove, invece del principio “un paese un voto”, vale la regola “un dollaro un voto” e, quindi, vengono privilegiati gli interessi dei ricchi. Piuttosto che cercare di boicottare il Summit, insomma, esigiamo che si confronti davvero con la società civile. presidente Associazione operatori di cooperazione allo sviluppo Fabio Lucchesi E’ solo un summit di potenti Che un ristretto gruppo di potenti si incontri per decidere il futuro di tutti senza aver ricevuto alcuna investitura democratica o legittimazione, per noi è assolutamente inaccettabile. Premesso questo, comunque, lo scopo di fare un controvertice non è distruttivo ma propositivo: saremo a Genova perché vengano ascoltate anche le ragioni di chi vuole cancellare il debito dei Paesi poveri, tassare le transazioni finanziarie o rispettare l’ambiente perché crede che si possa costruire un mondo diverso. Contrariamente a quanto cercano di far credere il governo e i servizi segreti diffondendo rapporti di cui nessuno conosce la fonte e quindi può verificare la credibilità, i cittadini che protesteranno contro la globalizzazione non partecipata non sono terroristi. Abbiamo sempre agito alla luce del sole, noi. E da qui al Summit continueremo a farlo con una campagna di sensibilizzazione che insegni a tutti i cittadini qual è la vera posta in gioco a Genova. Rete di Lilliput


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