Politica

Un popolo di telefonisti

di Franco Bomprezzi

Negli ultimi sette anni l’acquisto di telefonini è aumentato del 189%, e in piena crisi, nell’ultimo anno, le statistiche parlano di un incremento di spesa superiore al 15 per cento. Basta guardarsi attorno per rendersene conto: siamo un paese di telefonisti. Gente che parla e gesticola da sola in auto, sul marciapiedi, in tram, in metropolitana, in treno, fra poco anche in aereo. Usando il cellulare gli italiani non rinunciano infatti alla gestualità delle mani, del corpo, del viso, perfino della camminata, che si fa importante, pensosa, o distratta e sognante. Rallento sempre quando mi avvicino a un attraversamento pedonale perché sempre più spesso mi capita il pedone che non guarda né a destra né a sinistra, e si butta in mezzo alla strada continuando la propria fondamentale conversazione al cellulare. Le orecchie mi sembrano, negli ultimi tempi, assai più grandi e avvolgenti, da Dumbo, mentre le dita si modificano, lunghe, affusolate e nervose, simili alle dita di E.T., che non a caso voleva telefonare a casa. La produzione di sms infatti è smisurata, vorticosa, incessante, di giorno e di notte. Il telefono cellulare è più di uno status symbol, è quasi l’unico oggetto del quale non si può fare a meno, mai, neppure in bagno, neppure in ascensore, neppure in chiesa.

Anche io, ovviamente, uso il cellulare e ne ho acquistati in discreto numero negli ultimi anni. Innanzitutto perché si guastano spesso, non funzionano all’improvviso, e penso siano programmati per cessare di vivere entro i due anni di esistenza terrena, in modo tale da costringere ad acquisti compulsivi, sempre più costosi, sempre più impegnativi.

Il cellulare infatti ora è macchina fotografica digitale ad elevate prestazioni, videocamera, smart phone, modem, mini laptop per collegarsi a internet. Twitter, facebook sono le espressioni patologiche di una comunicazione sociale esasperata e continua. Un fenomeno double face, positivo e negativo si toccano, si incrociano. Ma il boom degli acquisti, secondo me, si spiega con gli altissimi utili delle compagnie telefoniche, che riescono a investire in pubblicità televisiva e cartacea martellante, ogni giorno, a qualsiasi ora, proponendo tariffe complicate da capire, e sicuramente non convenienti, ma condite di sex appeal, i nuovi “mulini bianchi” della comunità virtuale: non si può essere felici se non si telefona, se non si messaggia, se non si fotografa ogni istante della nostra esistenza.

E il costo della felicità è apparentemente modesto, subdolo grimaldello del portafogli, con prezzi che si possono considerare a portata di mano, o di carta di credito. Il costo del cellulare non è poi che l’inizio di una spesa sempre crescente in ricariche, che ormai assorbono più banconote della benzina, visto che all’auto ora ogni tanto sappiamo rinunciare, ma alla telefonata o agli sms mai.

Tutto bene se il popolo di telefonisti si mostrasse alla fine sereno e sorridente. Invece provate a guardarvi attorno, tutti visi tristi e corrugati, spesso cupi e ansiosi, con gli occhi rivolti verso di Lui, il Cellulare, che non vibra, che non si illumina, che non ci conferma in tempo reale che l’Altra Persona, quella che non ci è vicina, è disposta a comunicare con noi, qui e subito. Il cellulare è spesso infatti attesa di comunicazione, ansia, delusione, gelosia, invidia, malinconia. Dalle suonerie si potrebbe perfino intuire il carattere del proprietario, le sue pulsioni, il suo ego.

Abbiamo affidato al telefono il nostro Io, e facciamo fatica perfino a spegnerlo di notte, perché non si sa mai, qualcuno ci potrebbe chiamare, o scrivere, o inviare un mms, che altro non è che una foto a francobollo. Forse, chissà, il cellulare ci fa sentire meno poveri, e più importanti. Quando ci chiamano in un luogo pubblico possiamo appartarci con aria misteriosa, abbassando la voce, e coprendo il microfono con una mano. Ecco, in quel momento, il cellulare dispiega tutta la sua potenza comunicativa di simbolo sociale.

La situazione può solo peggiorare.

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