Mondo

Un pensiero sul tempo africano

di Giulio Albanese

A volte mi chiedo se ho davvero il tempo necessario per aggiornare questo blog. E sì perché le cose da fare sono sempre tante! Comunque alla fine sono giunto alla conclusione, rileggendo un brano di Kapuscinski, che devo trovare la forza di ripudiare il dio Cronos, signore delle lancette. Date un’occhiata a cosa scriveva l’indimenticabile africanista polacco: “Nel concetto europeo il tempo esiste indipendentemente dall’uomo ed e dotato di qualità misurabili e lineari (…). L’europeo si sente schiavo del tempo, ne è condizionato, è il suo suddito in tutto e per tutto, (…) deve rispettare date, scadenze, giorni e orari (…). Tra l’uomo e il tempo esiste un conflitto insolubile che si conclude inevitabilmente con la sconfitta dell’uomo. Gli africani invece intendono il tempo in modo molto più flessibile, aperto, elastico, soggettivo. E’ l’uomo che influisce sulla forma del tempo, sul suo corso e ritmo. Il tempo è addirittura qualcosa che l’uomo può creare: infatti l’esistenza del tempo si manifesta attraverso gli eventi e che un evento abbia luogo oppure no dipende dall’uomo. (…) Il tempo si manifesta per effetto del nostro agire: se cessiamo la nostra azione esso sparisce (…) Tradotto in pratica significa che se ci rechiamo in un villaggio dove deve tenersi una riunione e sul luogo stabilito non troviamo nessuno, non ha senso chiedere quando incomincia la riunione perché la risposta sarà: ‘quando tutti sono arrivati’”. (tratto da “Ebano”, Feltrinelli, Milano 2001)

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