Non profit
Un passo indietro per salvare la scuola
Il 15 novembre scorso ha mostrato impietosamente lo stato del sistema scolastico italiano.
a giornata di lunedì 15 è stata una giornata che fotografa in maniera impietosa ed emblematica la situazione della scuola italiana. Lo sciopero indetto dai tre sindacati confederali ha raccolto un successo al di là delle aspettative. Se si leggono i motivi della mobilitazione c?è da restare impressionati: la ragione principale – il rinnovo del contratto – era solo il primo punto di una lunghissima lista che ben fotografava lo stato di disagio davvero senza precedenti che si sta vivendo nelle aule italiane. Sulla situazione già tesa era poi piovuto l?annuncio davvero intempestivo del ministero del Tesoro, Siniscalco che in un emendamento alla Finanziaria aveva inserito una riduzione degli organici per il 2005 e 2006: 2% di personale in meno, che fanno 14.800 posti. Alla faccia della Moratti che, in viaggio in Giappone, ha solo schivato questa solenne bocciatura di un suo dogma: l?intangibilità degli organici.
Ma la Moratti, sempre dal Giappone, ha dovuto darsi da fare per bloccare un?altra fuga in avanti. Infatti voci dal ministero avevano dato per imminente il decreto, delicatissimo e attesissimo, per il riordino della secondaria di secondo grado (i licei e la formazione). Niente da fare.
Il ministro, scottato dall?esperienza sul decreto per la secondaria di primo grado, vuole procedere con i passi di piombo. Per di più questo nuovo decreto coinvolge il nodo delicatissimo del rapporto con le Regioni cui la Costituzione ha assegnato competenza esclusiva per quanto riguarda la formazione professionale. Tracciare il confine tra l?ambito che spetta ai licei (quindi ancora statali) e quello che spetta invece alla formazione sarà una battaglia durissima che vedrà due diversi poteri contrapporsi, erodendo ancor di più il consenso e l?autorevolezza dell?istituzione scolastica. Senza contare le pressioni fortissime che vengono da Confindustria per avere una scuola confezionata su misura delle proprie necessità.
Ma il tempo non è infinito: ad aprile scadrà la delega per la riforma. E se anche si riuscisse nel miracolo di concludere il cammino, c?è da chiedersi che cosa accadrà nel 2006 quando, con ogni probabilità, l?Italia verrà governata da un?altra maggioranza (anche se ambienti autorevoli dei Ds assicurano che in ogni caso non si metterebbe mano alla struttura portante della Moratti).
Capite, a questo punto, perché il 15 novembre sia stata una giornata assolutamente emblematica. Ognuno si trascina le sue contraddizioni: anche gli insegnanti che, come ha sottolineato Giuseppe De Rita, non possono coltivare l?utopia di livelli occupazionali inalterati e di stipendi portati a standard europei: in Europa il rapporto docenti e alunni è di uno a 15, contro l?uno a 9 del nostro Paese.
Eppure l?errore più grande sarebbe quello di arrendersi al fatalismo, di non difendere l?idea che la scuola sia il bene più importante per pensare al nostro domani. E se è un bene, deve essere un bene condiviso, non lacerato dalla difesa dei rispettivi interessi, che siano quelli delle istituzioni contrapposte o quelli delle categorie. Se ciascuno non fa un passo indietro, è difficile pensare che la scuola possa uscire dalla crisi che la paralizza. Pensiamoci prima che sia troppo tardi e che il declino di oggi diventi vera decadenza per domani.
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