Sostenibilità

Un passo avanti. Ma non basta copiare un modello

«Serve una formula originale, culturalmente compatibile con i nostri costumi giuridici». I consigli di un esperto per arrivare a una legge che tuteli davvero. E faccia da deterrente

di Maurizio Regosa

«La class action è un passo avanti, ma occorre individuare un modello originale, culturalmente compatibile», spiega a Consumers? Magazine Alberto Cavaliere, docente di Economia pubblica all?università di Pavia. Consumers? Magazine: In che senso? Alberto Cavaliere: Faccio due considerazioni. Mi sembra si sia enfatizzato molto il ruolo della class action in quanto potenziale risposta agli scandali ad esempio di tipo finanziario. In America invece la class action è molto diffusa e molto popolare soprattutto come risposta a problemi di danni causati da prodotti difettosi. CM: La seconda premessa? Cavaliere: Si parla poco di questi danni non perché non esistano, ma perché trovano risposte diverse. È lo Stato sociale che spesso se n?è fatto carico. Un esempio? Ai lavoratori che si sono trovati in prolungato contatto con l?amianto vengono riconosciuti dei benefici pensionistici. Si tratta di un onere nascosto, di una risposta che lo Stato dà ma in modo non trasparente. CM: Potrebbe rivalersi sulle imprese responsabili dei danni… Cavaliere: Questo avviene in Francia, ma non in Germania o in Italia. C?è poi un altro aspetto: la deterrenza. Se avremo la class action ci sarà un aumento delle cause, ma non è detto che funzionino da deterrente. Si deve tener conto del costo di accesso alla giustizia. In Usa gli avvocati percepiscono una parcella in proporzione all?indennizzo che sanno ottenere. In più se la causa è persa i consumatori non pagano nulla. In Europa la compensazione deriva dalla durata della causa. Le spese processuali poi sono a carico di chi perde. CM: È per questo che sottolinea la necessità di trovare formule originali? Cavaliere: Sì. La class action può rappresentare un passo avanti ma mancano molti elementi del sistema americano. Le voglio fare un esempio molto concreto. In Usa le giurie, che sono popolari, riconoscono forme di danno a noi poco familiari. C?è quello economico ed esistenziale, e fin qui… Poi però aggiungono la componente punitiva, pensando che non tutti i danneggiati abbiano partecipato alla class action e che quindi il danno sia più grande di quello contabilizzabile nel processo. Per questo ritengo opportuno che ciascun Paese individui un modello culturalmente adeguato, coerente con i costumi giuridici. Non ci si deve limitare a importare la class action…. CM: Prima parlava di costi di accesso alla giustizia. Cavaliere: Certo. La durata media delle cause civili da noi è significativa. Ma non solo. Probabilmente gli avvocati potranno farsi pubblicità. Questo potrebbe far nascere un sistema di compensazione diversa da quella cui siamo abituati e più simile a quella americana. Poi occorrerebbe avere una pubblica amministrazione più attiva, capace di rivalersi sui responsabili dei danni. Se l?Inps deve pagare pensioni più alte a causa dell?amianto dovrebbe potersi a sua volta rivalere. CM: Non c?è il rischio che l?introduzione della class action disincentivi l?uso di nuovi materiali perché non si conoscono a fondo gli eventuali danni? Cavaliere: C?è una direttiva dell?Unione Europea sulla responsabilità oggettiva del produttore, introdotta nel 1985, che prevede un?esenzione se si dimostra che quando si è immesso il prodotto sul mercato non se ne conosceva la nocività. Ma la buona fede dell?impresa non elimina il problema del danno come pure quello del risarcimento. A questo fine possono essere utili i fondi di compensazione, magari creati col tramite delle assicurazioni.

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