Welfare

Un paracadute in più per il popolo delle rate

Il credito finalizzato non sarà più terreno facile per le frodi. Perché se il fornitore non consegna la merce, si smette di pagare. Ma avverte Paolo Fiorio...

di Maurizio Regosa

Gli ottimisti dicono che stiamo diventando sempre più europei. I pessimisti che – avendo i salari perduto gran parte del loro potere d?acquisto – sempre più persone hanno difficoltà economiche. Entrambi si riferiscono alla crescita del credito al consumo, in soli cinque anni passato dal 3,3% del 2001 al 5,8 del 2006. Sarà poco rispetto alla Gran Bretagna (dove la percentuale, sempre rispetto al Pil, è del 15,1%), ma è senz?altro un business in fortissima espansione. Che perciò ha bisogno di regole nuove, riforma che il Consiglio dei ministri, su proposta del sottosegretario dell?Economia, Roberto Pinza, ha varato proprio in questi giorni.

Tetto a 31mila euro
Si è scelto uno strumento rapido (il decreto legislativo) per facilitare l?accesso al credito al consumo (cui viene mantenuto il tetto di 31mila euro), dare maggiore trasparenza ed eliminare qualche incongruenza. Una su tutte: l?obbligo di continuare a pagare le rate anche se la merce non è consegnata. Non è un esempio così peregrino: il credito finalizzato (così si definisce tecnicamente un prestito che serve esplicitamente per l?acquisto di un determinato prodotto) è la forma più diffusa e come è regolato adesso può addirittura essere un utile strumento per organizzare una frode. «I contratti di acquisto e di finanziamento sono stipulati con soggetti distinti», spiega Paolo Fiorio, avvocato e coordinatore dell?Osservatorio Credito e risparmio del Movimento Consumatori, «e secondo l?attuale disciplina anche se l?acquirente non riceve il bene deve lo stesso pagare le rate al finanziatore (a meno che non vi sia un rapporto di esclusiva fra i due, ma questo praticamente non avviene quasi mai). Questo è uno dei problemi più frequenti che riscontriamo ai nostri sportelli».

Sarà diverso in futuro: la riforma prevede, in caso di inadempimento del fornitore, la possibilità di interrompere il pagamento delle rate, risolvendo il finanziamento. «Certo occorrerà vedere come è formulata la norma, ma senz?altro questo è un passo avanti», prosegue Fiorio. Oltre all?obbligo di indicare più chiaramente i costi e a una maggior trasparenza nelle comunicazioni pubblicitarie, si introduce il diritto di recesso: entro 14 giorni dalla sottoscrizione del contratto il consumatore può ripensarci ed eventualmente recedere.

Liberalizzare è un rischio
Rilevanti sono anche gli obblighi di correttezza a carico del finanziatore, che sarà tenuto a valutare il merito creditizio del consumatore e a prestargli consulenza e assistenza nella comprensione della documentazione. «Anche questo è un punto qualificante», commenta Fiorio, «giacché in questo modo il finanziatore non avrà più come unico obiettivo la chiusura del contratto purché sia. Sarà chiamato a verificare l?adeguatezza del finanziamento, a prendere in considerazione se il cliente può o meno sostenere questo impegno economico. Chi conclude il contratto non deve guardare esclusivamente i propri interessi, ma tener presente anche quelli del consumatore. Cosa tanto più opportuna perché parliamo di un rapporto in cui l?asimmetria informativa è molto forte. Oltretutto la nuova disciplina precisa che sarà il finanziatore a dover dimostrare di essere stato diligente nel corso della trattativa».

Il testo prevede anche una nuova disciplina degli intermediari finanziari con l?innalzamento del requisito di capitale sociale minimo, la costituzione di un organismo di rappresentanza e nuove (più rigorose) condizioni per l?iscrizione. Una sorta di ?giro di vite? che dovrebbe rendere più serena la prospettiva di chi ricorre al credito al consumo: «Elevare il capitale sociale non assicura nulla», chiosa Fiorio, «ma quanto meno è un biglietto da visita, dimostra che l?impresa ha un progetto imprenditoriale. C?è insomma la volontà di qualificare gli agenti dell?attività finanziaria. Del resto in questo ambito liberalizzare, nel senso di togliere regole e paletti per l?accesso al mercato, non è detto sia un scelta che va alla fine a vantaggio del consumatore».

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