Cultura
Un papa che non fa la morale
«Cari giovani», ha detto Ratzinger, «la felicità che cercate, la felicità che avete il diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth»
di Andrea Tornielli
C?è un filo rosso che lega tutti i discorsi che Benedetto XVI ha rivolto ai giovani della Gmg nei quattro giorni del suo primo viaggio internazionale. C?è un unico messaggio che il vecchio Papa tedesco ancora un po? impacciato nei bagni di folla ha voluto comunicare al popolo variopinto convocato a Colonia da Giovanni Paolo II: il cristianesimo non è innanzitutto un?etica, una serie di precetti o di dogmi, un ?fardello? che limita la libertà dell?uomo. «Cari giovani», ha detto Ratzinger, «la felicità che cercate, la felicità che avete il diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth». Benedetto XVI non ha fatto prediche moralistiche. Al milione di giovani abituati a ?respirare? il relativismo non ha mai citato alcun tema legato alla morale sessuale. Non li ha spronati ad ingaggiare crociate identitarie, a sollevare muri d?orgoglio e di fierezza. Non li ha nemmeno invitati a nuove e più efficaci battaglie culturali.
Sa bene Papa Ratzinger, che solo l?accadere per grazia di quell?incontro che ha provocato lo stupore dei Re magi davanti all?inerme bambino in fasce, al mistero che «si è fatto conoscere consegnandosi a noi nelle membra fragili di un piccolo bambino», può rispondere alle attese del cuore di questi ragazzi infreddoliti nell?umida e nebbiosa mattina di Marienfeld. Benedetto XVI ha invitato i suoi interlocutori a volgere lo sguardo insieme a lui verso qualcun Altro, spiegando, in modo commovente, che è la Chiesa il luogo fisico attraverso cui questo incontro si rende possibile: quella Chiesa dove esistono «pesci buoni e pesci cattivi». «In fondo è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa», ha detto. «Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori».
Anche se la Gmg di Colonia era stata pensata ad immagine del suo eccezionale predecessore, straordinario comunicatore capace di parlare con i gesti, Papa Ratzinger si è adattato ai ritmi di una kermesse che istintivamente certo non sentiva vicini alla sua sensibilità. Benedetto XVI ha saputo parlare ai giovani di Colonia perché è stato se stesso, così come era se stesso Wojtyla quando davanti ai giovani di Manila, nel 1995, si mise a roteare il suo bastone come Charlie Chaplin. Ratzinger è apparso sereno, gentile, disponibile, ha stretto migliaia di mani, non si è sottratto a nessuno dei ?riti? ormai consolidati, ma lo ha fatto secondo il suo stile. I confronti tra il Papa «da prima serata» e il Papa «da seconda serata», che nei giorni scorsi hanno fatto quanti giudicano gli eventi ecclesiali secondo i criteri dell?audience, lasciano dunque il tempo che trovano.
L?altro dato saliente dei giorni di Colonia sono stati gli incontri con la comunità ebraica e musulmana. Anche in questo caso, Benedetto XVI è stato realista, non ha vagheggiato mete impossibili. Ha invitato gli ebrei ad approfondire con i cristiani le comuni radici, iniziando un vero e proprio dialogo teologico. Ha parlato delle «atrocità commesse in nome della religione» dai cristiani e dai musulmani, ha chiesto agli islamici di fare fronte comune contro il terrorismo e il fanatismo, citando la responsabilità della formazione dei giovani. Ma non si è prestato al gioco dei teocon, con improbabili chiamate alle armi o alla crociata: «Dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell?ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà? Vogliamo ricercare le vie della riconciliazione e imparare a vivere rispettando ciascuno l?identità dell?altro».
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