Volontariato

Un Paese tra declino e progresso

Come va l'industria culturale in Italia?

di Maurizio Regosa

Cominciamo dalla buona notizia. In due parole, è che l’Italia è leader nel mondo per il design e si colloca al secondo posto per l’esportazione di prodotti creativi, dopo la Cina ma prima degli Stati uniti, della Germania, diversi gradini sopra la Spagna (al decimo posto) e l’India (all’undicesimo). È quanto emerge dal Quinto rapporto intitolato Creatività e produzione culturale. Un paese tra declino e progresso, che Federculture, associazione di soggetti pubblici e privati che gestiscono attività legate alla cultura e al tempo libero, ha presentato oggi, al Teatro Argentina di Roma, alla presenza del ministro Sandro Bondi.

Le cattive notizie
Peccato che le buone nuove siano seguite da una serie di dati statistici preoccupanti. Perché la creatività va coltivata. Ed è appunto su questo versante che il Belpaese latita: ogni anno 6mila cervelli emigrano versi gli Stati Uniti, ogni famiglia destina in media appena il 6,8% del proprio budget per la voce “ricreazione e cultura” (contro il 9,4% della media europea a 27 e il 12,5% del Regno Unito), mentre il sistema Italia (che si colloca al 46° posto nella graduatoria sulla competitività del World Economic Forum) non ha strutture formative adeguate. La nostra migliore università pubblica si colloca sul 173° gradino nella classifica mondiale. Né va meglio per gli investimenti in ricerca e sviluppo (siamo al 17° posto in Europa) o per la formazione (24°, sempre in Europa).

Continuiamo così, facciamoci del male
Inevitabili che simili “investimenti” abbiano riflessi sulla cultura intesa come attività imprenditoriale. Basta scorrere la graduatoria delle mostre più visitate al mondo nel 2007. Riga dopo riga: bisogna contarne 86 per arrivare a una iniziativa italiana (Turner e gli impressionisti, a Brescia). E se ne trova un’altra solo alla riga 104: Cina: la nascita dell’Impero, a Roma. Se ci si prende la briga di andare a vedere i primi posti, beh allora l’imbarazzo diventa rossore: il podio va a una mostra su Leonardo (sì, da Vinci) che a Tokyo ha avuto quasi 800mila spettatori.
Altra graduatoria, rinnovato imbarazzo. Nella classifica dei musei più visitati al mondo, nei primi ventuno meglio piazzati ci sono solo due nomi italiani. Al 7° posto, i Musei Vaticani (che ovviamente appartengono alla Santa Sede) e gli Uffizi, ultimi. (Nota bene: dei circa 4.000 musei e siti censiti dall’Istat, solo un centinaio sono dotati di punti vendita di libri o merchandising: nel 2006 hanno fatturato poco più di quanto il solo Louvre fattura in un anno, 20 milioni di euro).
Insomma, «il monumento non basta», come afferma nell’Introduzione al Rapporto il segretario di Federculture, Roberto Grossi, che esemplifica: il sito di Pompei ha registrato nel marzo 2008 un calo di 20mila presenze (rispetto allo stesso periodo del 2005). Indovinate perché…

2009, anno della creatività
Nel frattempo, aspettando il 2009 (che sarà «l’anno europeo della creatività e dell’innovazione»), facciamo i conti come scrive nella Prefazione Giorgio Van Straten, «con politiche culturali di breve respiro, complice la precarietà dell’assetto politico e la mancanza di un disegno strategico di sviluppo».
Dal canto suo, il ministro Bondi, si è detto in sintonia con Federculture e con la linea della «collaborazione fra Stato, governo, ministero dei Beni culturali, imprese private, fondazioni bancarie e enti locali». Bondi ha annunciato un piano nazionale di rilancio per i musei e i parchi archeologici: «In Italia» – ha spiegato il ministro – «abbiamo un patrimonio di almeno 4mila musei, il più grande del mondo, e molto spesso è ignorato dagli stessi cittadini. Intendo quindi istituire una direzione generale per i Musei al Ministero con bando di concorso per un manager che affronti la questione con un piano nazionale. Le risorse sono poche e voglio quindi puntare su poche cose ma valide».

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