Famiglia

Un Paese nel caos. Haiti si ribella al dumping Usa

Carlo Maria Zorzi, responsabile Avsi nell’isola caraibica, non ha dubbi: "La concorrenza sleale delle politiche agricole statunitensi è alla base di questa crisi".

di Paolo Manzo

Haiti è un Paese allo stremo. Quando leggerete questo articolo, quasi sicuramente la capitale Port au Prince sarà stata conquistata dai ribelli anti Aristide che, dal primo gennaio di quest?anno, bicentenario dell?Indipendenza, sono scesi nelle strade con un unico obiettivo: far cadere l?ex prete salesiano che, da quando è ritornato al potere, ha trasformato l?isola caraibica in un suo feudo personale, facendo leva su un gruppo paramilitare: le Chimere. Oltre ai ribelli anti Aristide armati sino ai denti, l?opposizione più moderata si è riunita nella ?Piattaforma dei 184?, che riunisce appunto 184 tra partiti e partitini politici, sindacati, associazioni e ong. Se il futuro di Haiti sarà gestito dall?opposizione moderata, questo Paese avrà una qualche speranza di ritirarsi su, in caso contrario sprofonderà ancor di più nel caos e nella miseria. Haiti è un Paese allo stremo, a prescindere dalla rivoluzione che la sta prostrando: su un totale di otto milioni di abitanti, sei e mezzo vivono sotto la soglia di povertà, con meno di un dollaro al giorno, una percentuale dell?80% che ne fa uno dei Paesi più poveri al mondo. La speranza di vita non raggiunge i 52 anni, il reddito annuale pro capite è di 400 euro, circa la metà degli isolani non sanno leggere né scrivere, mentre il 70% della popolazione attiva vive di lavori informali. Non c?era economia, né democrazia, già prima che iniziasse questo triste 2004, figurarsi adesso che si è aggiunta questa guerra civile. Causa scatenante del caos sono state le promesse non mantenute dal governo di un miglioramento della situazione economica (sempre più haitiani emigrano verso la Repubblica Dominicana e gli Usa) e le politiche di dumping attuate dagli States, che hanno imposto le loro produzioni agricole, facendo aprire il già misero mercato haitiano all?import proveniente da Washington. Ma che cos?è il dumping? Tradotto in italiano si tratta di concorrenza sleale, che può essere attuata tramite politiche fiscali, commerciali, sociali e di sussidi all?agricoltura. Carlo Maria Zorzi, responsabile dell?Avsi a Port Au Prince, non ha dubbi: “Sicuramente il dumping commerciale e agricolo è una delle cause della crisi che sta dilaniando questo Paese. Non dimentichiamo che, nel 2003, il programma di sviluppo delle Nazioni Unite posizionava Haiti al 151esimo posto nelle sue statistiche, in base a precisi indicatori di sviluppo. Su 155 Paesi presi in considerazione”. Ma il dumping ha davvero fatto crollare la produzione haitiana di riso, caffè e legumi? “Certo, tant?è che oggi costa meno il riso acquistato dagli Stati Uniti di quello prodotto qui”, spiega Zorzi. “Perciò gli haitiani mi chiedono: perché dobbiamo fare tanta fatica, cercare l?acqua, lavorare senza i macchinari adatti e preoccuparci del trasporto, quando poi arriva un riso dall?estero che costa di meno?”. L?altro giorno in una riunione con la Fao, un funzionario della cooperazione francese è sbottato, spiegando come l?apertura ai mercati internazionali abbia fatto sprofondare, oltre alla rete produttiva, anche quella distributiva: “Due anni fa, nel Nord, per fare un tragitto di cento chilometri impiegavamo tre ore. Oggi ce ne vogliono sei?”. Il cuore del problema è che Aristide non ha puntato affatto sulla produzione agricola interna, limitandosi a trasformare i pochi suoi abitanti che lavorano in terzisti per conto altrui: gli abitanti di Port au Prince, infatti, lavorano quasi tutti su prodotti che arrivano dagli Usa, li confezionano e poi li rivendono a Washington. De facto, a causa del dumping, lo scorso anno la produzione agricola del Centro-Nord non è mai arrivata nella capitale, perché non ci sono più camionisti disposti ad assumersi il rischio del trasporto: per questo la fame è sempre più una costante e le produzioni sono crollate. Per questo il riso dello scorso anno è andato distrutto: perché nessuno l?ha portato sul mercato. E, spiega Zorzi, “se i prezzi non aumentano, per i commercianti è più redditizio importare, facendo business con la confinante Repubblica Dominicana o gli Usa”.


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