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Un ottobre tutto africano

Giunto alla sua quattordicesima edizione, oggi il Festival “Ottobre africano” assume una dimensione nazionale. L’edizione 2016 ha per tema la “diplomazia culturale”, uno strumento che il direttore del Festival, Cleophas Dioma, considera “fondamentale per rafforzare i rapporti tra l’Italia e l’Africa”. In questa intervista, ci spiega il perchè.

di Joshua Massarenti

Quali sono gli obiettivi dell’edizione 2016?

Il Festival è nato dall’esigenza di offrire uno sguardo diverso sull’Africa, raccontarla in modo diverso da un punto di vista africano. Ancora oggi, il nostro continente è spesso associato alle guerre e alla povertà, mentre viene sottovalutato le opportunità immense che può offrire all'Italia. Non a caso il tema che abbiamo scelto quest’anno è la diplomazia culturale.

In che modo?

La cultura può essere uno strumento molto importante nei rapporti tra il continente africano e l’Italia. Deve poter implicare tutti gli attori di entrambe le rive del Mediterraneo, penso in Italia al mondo della cooperazione internazionale e ai suoi stakeholders, dalle diaspore africane alla società civile, passando per il ministero degli Esteri e il suo corpo diplomatico, l’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo, le autorità locali e il settore privato. A loro bisogna aggiungere il ministero della Cultura e le ambasciate africane.

Un esempio concreto di diplomazia culturale?

Se vuoi fare business in Sudafrica o in Burkina Faso, devi conoscere un pò le realtà culturali di questi Paesi, altrimenti come ti ci muovi? Gli investimenti non bastano per colmare un gap culturale che è fondamentale per non ritrovarsi impreparato quando si sbarca in un paese africano. Lo stesso discorso vale per le diplomazie africane che devono conoscere meglio l’Italia e il valore aggiunto che questo paese può offrire per lo sviluppo dell’Africa. E’ un percorso di conoscenza lungo e impegnativo, ma inevitabile.


Il Festival è nato dall’esigenza di offrire uno sguardo diverso sull’Africa, raccontarla in modo diverso da un punto di vista africano. Ancora oggi, il nostro continente è spesso associato alle guerre e alla povertà, mentre viene sottovalutato le opportunità immense che può offrire all'Italia.

Che co’è cambiato tra la prima edizione che si è svolta 2002 e quella del 2016?

Abbiamo lanciato la prima edizione a Parma, all’epoca eravamo un pugno di persone, poi siamo cresciuti con un obiettivo non è mai cambiato: provocare una rivoluzione copernicana tra gli italiani e cambiare il loro sguardo sull’Africa. Purtroppo questa percezione viene ancora oggi alimentata dagli sbarchi di migranti in fuga dalla miseria sociale e fisicamente molto provati dall’odissea attraverso la quale approdono in Italia o in altre parti dell’Europa. Questo ad esempio non è il mio caso. C’è chi nel mio entourage mi considera fortunato, e di sicuro lo sono, ma nel mio paese d’origine, il Burkina Faso, non ho mai sofferto né dalla fame, né dai conflitti armati. Il fatto che in 14 anni il Festival sia cresciuto molto significa che c’è un pubblico italiano pronto ad ascoltare una narrazione diversa da quella “afropessimista”. Se per oltre un decennio l’Africa ha fatto registrare tassi di crescita molto superiori a quelli europei, qualcuno dovrà pur iniziare a porsi delle domande. Alcune risposte le può trovare con “Ottobre africano”.

In che modo il nuovo interesse espresso dal governo italiano nei confronti dell’Africa impatta sul vostro Festival?

E’ difficile valutarlo. Di sicuro siamo ad un punto di svolta. Il 2016 è stato segnato dalla Conferenza Italia-Africa, al termine della quale ci siamo chiesti quale poteva essere il modo migliore per rendere i rapporti italo-africani più solidi e strutturati. La sola strada da percorrere è fare sistema, il che richiede una volontà politica molto forte e costante, nonché una capacità di coordinamento incisiva delle varie anime che compongono la cooperazione internazionale. Stiamo cercando di svolgere il nostro compito al meglio, con le forze che possiamo mettere in campo. "Ottobre Africano" vuole contribuire a questa nuova e positiva dinamica, attraverso l’organizzazione di conferenze ed eventi culturali che coinvolgono le seconde generazioni di africani.

Quali gli obiettivi futuri?

Non vogliamo limitare il nostro contributo alla sfera culturale, dobbiamo allargare la nostra presenza al settore economico e commerciale, senza tradire la nostra identità. Mi spiego. Il Festival è l’unica realtà africana in Italia promossa dalla sua diaspora, penso che sia un’opportunità anche per coloro che in questo paese vogliono rafforzare le relazioni tra l’Italia e l’Africa. Ma questi rapporti devono essere costruiti su una nuova narrazione. Quella proposta dall’autore di "Afrotopia", Felwine Sarr, l’ospite più importante dell’edizione 2016 di Ottobre africano, riassume bene il nostro approccio: non serve correre dietro l’Occidente o anche la Cina, è più opportuno portare avanti il nostro percorso basato su una visione tutta africana dell’Africa e del mondo.

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