Non profit

Un nuovo volontariato in azione in Abruzzo

editoriale

di Giuseppe Frangi

Non c’è dubbio che il terremoto in Abruzzo abbia levato il velo su un’Italia diversa da quella che ci si aspettava. Poche polemiche e molta solidarietà. Poche recriminazioni e tanta prontezza organizzativa. E poi quell’amalgama sorprendente di Italia antica, con quegli anziani dalle radici affondate in quella terra, e di Italia nuova, con quei giovani – magari con orecchino o capelli rasta – figli di una nuova civiltà. Un melting pot generazionale, unito nella tragedia e nel dolore, ma pronto a ricominciare (l’emblema è il volto orgoglioso che campeggia sulla nostra copertina). Un’Italia antica e moderna insieme, che ha visto crollarle addosso le malefatte di uno sviluppo pasticciato e gestito negli anni passati con irresponsabile leggerezza. Ma che guarda alla tragedia non tanto con il desiderio legittimo di fare i conti con chi ha gestito il passato più o meno recente, ma con una grande voglia di voltar pagina.
E in questo mix di nuovo e di antico, di dolore e di speranza, l’Italia si è sorpresa ancora una volta davanti allo spettacolo dei suoi volontari. Li abbiamo visti al lavoro, in migliaia, con le loro tute di ordinanza e i loghi delle associazioni o organizzazioni di appartenenza che campeggiavano sulla schiena. Generosi come sempre, ma capaci di trasmettere calma e fiducia grazie alla sicurezza dei loro gesti. Non sono certo una scoperta, ma questa volta portano un messaggio diverso dal solito. È il messaggio di un’Italia profonda, che tiene nonostante l’assedio di una modernità scriteriata e della crisi, a tratti feroce, che quel modello ha scatenato. Ma non si tratta solo di una tenuta sentimentale o valoriale. È anche una tenuta concreta e organizzativa: questo è l’aspetto che in particolare è importante sottolineare. In tutti questi anni abbiamo immaginato un volontariato messo sotto assedio da stili di vita aggressivi ed edonistici. Lo sapevamo abbandonato da una politica che tanto lo lodava a parole e altrettanto lo tradiva nei fatti e nelle scelte concrete. Ma evidentemente (e per fortuna) il volontariato non è figlio di un’ingegneria sociale, quanto di una natura buona degli esseri umani che li porta a costruire legami solidali anche se si è in territori e stagioni culturalmente ostili.
Del volontariato rivisto all’opera tra le macerie dell’Abruzzo ci piace però sottolineare quest’aspetto moderno di prontezza e di efficienza organizzativa. Segno che la generosità ha saputo strutturarsi in competenza e professionalità. È un volontariato che tiene al passo dei tempi, che sa vigilare e farsi trovare pronto e che non è riducibile certo ai soli picchi emotivi. Per questo costituisce un capitale sociale e civile di valore incommensurabile. L’Italia che caparbiamente cerca di uscire dalla crisi ora sa quanto è importante investire su questo capitale. Si dice che il Pil non sia più un parametro adeguato a misurare la ricchezza. Ma se il calcolo del Pil prendesse in considerazione anche il valore di questo capitale sociale, certamente sarebbe più credibile. Tra le tante cose che la tragedia dell’Abruzzo ci insegna, questa è forse la più importante. Per guardare avanti, sappiamo su chi e su cosa investire.


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