Non profit

un nuovo statuto europeo per superare le barriere

Legislazioni differenti e alti costi limitano l'azione delle fondazioni

di Carlotta Jesi

Parla il fondatore del Centro per la società civile della London School
of Economics: «Oggi i costi delle “barriere legali” oscillano tra i 90 e i 101 milioni l’anno. Risorse sottratte alle azioni sociali»
«Le fondazioni europee devono diventare attivi agenti di cambiamento». È chiara e precisa la chiamata alle armi che Helmut K. Anheier, direttore del Centro per gli investimenti sociali dell’università di Heidelberg e fondatore del Centro per la società civile della London School of Economics, rivolge alle oltre 110mila public benefit foundations che operano nell’Unione. «Erogare fondi non basta più, devono trasformarsi in lobbisti delle cause sociali che sostengono finanziariamente».
Vita: Che arma in più avrebbero le fondazioni rispetto a ong e associazioni che già fanno pressione su Bruxelles?
Helmut Anheier: L’indipendenza economica. E la libertà di fare pressione sui governi locali e le istituzioni europee che ne consegue. Oggi nell’Unione le fondazioni hanno capitali per circa mille miliardi di euro ed erogano oltre 150 miliardi di euro l’anno.
Vita: C’è un tema sociale, in particolare, su cui è urgente che le fondazioni facciano sentire la loro voce a Bruxells?
Anheier: Quello che riguarda più direttamente il loro futuro: la creazione di uno statuto europeo delle fondazioni che elimini il paradosso per cui, oggi, se desiderano operare a livello transnazionale lo fanno con costi spesso più alti delle aziende profit. La Commissione europea è molto ricettiva su questo punto: in febbraio ha pubblicato uno studio di fattibilità sullo statuto europeo delle fondazioni elaborato dal nostro Centro per gli investimenti sociali e ha poi lanciato una consultazione pubblica per determinare il livello di bisogno di un tale statuto che è tuttora in corso.
Vita: Che impatto avrebbe lo statuto europeo delle fondazioni sulla filantropia europea?
Aneheir: Le fondazioni potrebbero, innanzitutto, costituirsi come “fondazione europea” nel Paese di residenza del loro fondatore o in un qualunque altro Stato membro e, al tempo stesso, essere operative e riconosciute in tutti i 27 Stati membri. Questo faciliterebbe le operazioni transfrontaliere, riducendone i costi, a cominciare da quelli delle donazioni, e incentivando una maggiore collaborazione tra fondazioni di diversi Paesi.
Vita: Di quanto potrebbero essere ridotti i costi delle operazioni transfrontaliere per una fondazione?
Anheier: Oggi i costi delle “barriere legali” a operazioni transnazionali si calcolano tra i 90 e i 101 milioni di euro l’anno, e a questi andrebbero aggiunti costi difficilmente stimabili come il trasferimento di sedi, costi psicologici e di duplicazione di pratiche burocratiche nei vari Paesi.
Vita: Come e in che Paese verrebbe tassata una “fondazione europea”?
Anheier: Non dovrebbe pagare tasse aggiuntive. Verrebbe tassata secondo le leggi nazionali del Paese in cui opera. Il che consentirebbe di eliminare alcune discriminazioni fiscali su fondazioni costituite in un particolare Stato membro e che operano anche in altri Paesi europei.
Vita: Lo statuto europeo potrebbe avere dei vantaggi anche per i donatori privati e per le aziende?
Anheier: I filantropi sarebbero facilitati, e quindi incentivati, a donare ad enti non profit di diversi Paesi. Basti pensare alla mobilità della vita lavorativa e anche delle persone che vanno in pensione. Le aziende avrebbero finalmente uno strumento legale per sviluppare una politica di investimenti sociali su scala europea.
Vita: Pensa che questo nuovo status legale possa avere un impatto anche sulla cultura europea della donazione?
Anheier: Lo statuto europeo darebbe un riferimento legale comunitario, favorirebbe la trasparenza e la comprensione delle politiche di governance e incentiverebbe il settore privato a lavorare con le fondazioni.


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