Cultura

Un nuovo futuro per i detenuti del carcere di Opera

Presentato questa mattina nel carcere di Opera il progetto "Luce per il futuro". Dieci detenuti avranno la possibilità di ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato con Invictor Led, azienda specializzata nella costruzione di apparecchi a led. A promuoverlo il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Banca Prossima e Fondazione FITS. «Basta con i percorsi assistenzialisti. Il cambiamento avviene quando a chi è dentro dai la possibilità di fare le cose normali», dice Giacinto Siciliano, direttore delle casa di reclusione

di Anna Spena

Presentato questa mattina all’interno del carcere di Opera, Milano, il progetto “Luce per il futuro”, l’iniziativa di industria permanente all’interno della casa di reclusione milanese che con i suoi circa 1300 detenuti è il carcere più grande d’Italia. Le maggior parte delle persone che arrivano nella Casa di Reclusione devono scontare condanne lunghe e quindi «L’impiego del tempo da un lato e la proposta di percorsi normalizzati dall’altro, diventano questioni fondamentali su cui focalizzare l’attenzione», dice Giacinto Siciliano, direttore della Casa di Reclusione di Milano.

Gli altri attore che entrano in campo nel progetto, oltre ai detenuti e all’amministrazione del carcere ovviamente, sono la Invictor Led, azienda specializzata in costruzione e progettazione di apparecchi a led, la Banca Prossima, appartenente al Gruppo Sanpaolo dedicata esclusivamente al mondo del non profit e la FITS, fondazione per l’innovazione del terzo settore, costituita dalla stessa Banca Prossima per generare valore sociale attraverso la sinergia tra soggetti del mondo non profit, for profit e le istituzioni.

Il progetto “Luce per il futuro” consentirà a dieci detenuti del carcere di specializzarsi nella produzione di apparecchi di illuminazione a led e di ottenere, in seguito ad un corso di formazione della durata di due mesi, l’assunzione a tempo indeterminato presso l’azienda Invictor Led. Invictor Led ha deciso di realizzare una filiera produttiva di assemblaggio all’interno della casa di reclusione. La qualifica che otterranno i detenuti sarà quella di “operaio specializzato”. Chi desidera ottenere il lavoro, può richiedere di partecipare ai colloqui e poi l’azienda selezionerà i candidati che riterrà più idonei. Lo stipendio sarà uguale alle retribuzioni di tutti gli altri impiegati.

«Quello di oggi», commenta Siciliano, «è un momento per presentare l’arrivo di una nuova attività lavorativa all’interno di Opera. Siamo onesti, questa è una grande casa di reclusione e fare laboratori di arte, spettacolo, corsi di sport, non basta. Infatti sono già cento le persone che lavorano per aziende esterne». Grande attenzione c’è anche alla questione economica. «Il discorso del guadagno è importante: le persone devono maturare l’idea di incominciare ad essere autosufficienti. Il cambiamento, lo scatto, avviene quando a chi è dentro dai la possibilità di fare le cose normali, quelle che farebbe fuori. La logica che deve scattare non è più “la mia famiglia provvede ai miei bisogni”, ma “io divento l’attore che si fa carico di chi sta fuori”. Io penso che un carcere che non si integra con il territorio non è un buon carcere. E se voglio interloquire con il mondo esterno non devo chiedere, davo iniziare a dare qualcosa. Dobbiamo assolutamente uscire dalla vecchia logica della sussidiarietà e dell’assistenzialismo».


Quindi una vera e propria industria all’interno del carcere. «Banca Prossima e fondazione FITS sono state fondamentali per convincere gli azionisti a realizzare una vera e propria industria in carcere», dice Vincenzo Lo Cascio, presidente Invictor Led. «Qualcuno potrebbe pensare “perché dare lavoro a chi è in carcere e non al mondo libero?”. Ma non è così. Un detenuto costa allo Stato circa 220 euro al giorno; se a quello stesso detenuto diamo uno stipendio in linea e competitivo sul mercato, una parte della retribuzione viene prelevata da parte dell’amministrazione e di fatto il detenuto diventa autosufficiente. Entriamo nel mercato in gamba tesa. Se in carcere non parti dal lavoro ma continui solo a parlare di recupero, il cambiamento dov’è? ».

Un progetto interessante ma dalle dimensioni comunque ridotte, saranno, infatti, solo dieci i detenuti ad ottenere il lavoro. «Siamo consapevoli di non lavorare sulla quantità», sottolinea Roberto Leonardi, segretario generale FITS. «Però ci stiamo immettendo in un mercato che non sarà residuale. Il settore delle luci a led è in straordinaria crescita e l’Italia, tutta, è molto arretrata da questo punto di vista. Il 90% del Paese è molto indietro nel passaggio dalle lampade ad alto consumo a quelle a led, che sono a basso consumo. Quindi l’obiettivo da un lato è testare il progetto e poi riprodurlo anche in altre carceri, dall’altro avere comunque un buon prodotto dove anche l’impatto sociale ha la sua importanza».

L’investimento fatto da parte di Banca Prossima non è altissimo; ad ammetterlo è stato lo stesso amministratore delegato Marco Morganti: «Abbiamo investito 100mila euro in questo progetto. Ma siamo fiduciosi che andrà bene perché per svilupparlo abbiamo tenuto conto di tutte quelle che sono le caratteristiche che fanno un’impresa vincente. Ci vogliono equilibrio, qualità, prezzo e prospettiva».

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