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Un Nobel sulla fiducia?
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Per gli «straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli» Barak Obama è il Nobel per la Pace 2009. Era già accaduto a Roosevelt nel 1906, ed è accaduto di nuovo a Carter nel 2002, quando però non era più in carica da tempo. Ma non era mai successo che un presidente degli Stati Uniti vincesse il riconoscimento a così pochi mesi dall’investitura popolare (eletto il 4 novembre 2008, siede alla Casa Bianca dal 20 gennaio 2009).
La riduzione degli armamenti, la ripresa dei negoziati in Medio Oriente, un approccio multilaterale in politica estera – un fantasma negli otto anni di amministrazione Bush – e una nuova leadership nella lotta ai cambiamenti climatici, i punti forti della politica targata Barak Obama che hanno convinto all’unanimità la commissione norvegese per il Nobel. Non tutto, però, è roseo come sembra. La notizia, arrivata in mattinata da Oslo, ha fatto velocemente il giro del mondo, suscitando reazioni molto differenti. Diverse, infatti, sono le questioni aperte nel nuovo corso obamiano: Iraq, Afghanistan, Medio Oriente, Guantanamo, solo per citarne alcune. Vita ha sentito a proposito alcuni esperti, che si dividono tra soddisfatti e scettici (per dire la vostra votate il sondaggio di vita.it)
NOBEL SI’
«La sua stessa elezione è stata una lezione di democrazia, la dimostrazione che il sistema democratico è capace di correggersi», ha detto Paolo Branca, professore di Lingua araba all’Università Cattolica di Milano. «Un cambio così radicale dall’era Bush è stato, anche solo simbolicamente, più efficace di mille discorsi teorici sulla democrazia. E il Nobel non fa altro che rinforzare questa percezione, incoraggiando l’apertura di un nuovo corso». Continua Branca: «Ha grande bisogno del sostegno internazionale, se rimane isolato è un uomo il cui coraggio gli si può rivoltare contro». E poi, «servono simboli positivi, oggi la gente è impaurita e sfiduciata».
Della stessa opinione Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente: «Questo premio dà autorevolezza alla nuova concezione dei rapporti internazionali portata avanti da Obama, e che ha messo fine all’approccio unilaterale degli Stati Uniti». Non bisogna dimenticare le «enormi resistenze, sia interne che esterne, che si incontrano nel cammino per entrare in una nuova era politica». Lungi da approcci semplicistici o ingenui «lo sappiamo bene che Obama non è il nuovo messia», anzi, lui stesso «conosce bene la complessità del mondo e la necessaria complessità dell’approccio per farvi fronte». La stessa exit strategy «non può certo risolversi in un facile abbandono».
NOBEL NO
«E dove la faranno la consegna del Nobel, a Guantanamo?». Esordisce con una provocazione Riccardo Noury della sezione italiana di Amnesty International. Al di là della battuta, quello di oggi è «un premio ispirato all’ottimismo. Ma quando si dà un Nobel a un capo di Stato, gli standard devono essere elevatissimi. E oggi negli Stati Uniti c’è una questione di diritti umani ancora tutta aperta».
Toni più cauti ma stesse perplessità per il direttore di Volontari nel mondo – FOCSIV, Sergio Marelli: «La prima perplessità è per l’assegnazione di un Nobel a un presidente in carica. La seconda è la motivazione: forse altri più di lui avrebbero meritato questa menzione». Certo, questo riconoscimento è «un incentivo al grande cambiamento portato avanti da Obama», che comunque non convince, «se non azzardata, è stata quantomeno una scelta prematura». Sul fronte del clima, ad esempio, continua Marelli, «all’ultima assemblea generale dell’Onu, non ho visto alcun risultato concreto». E poi tante altre le ambiguità, «si veda la posizione sul colpo di Stato in Honduras, non è chiara». L’amministrazione Obama è nata sotto il segno dell’aspettativa eccessiva, conclude Marelli, «come se non si sapesse che il presidente Usa è sottoposto a condizionamenti che vanno ben al di là delle sua possibilità».
Un Nobel sulla fiducia quello assegnato a Barak Obama secondo Marco Bertotto, direttore dell’Agenzia italiana per la risposta alle emergenze (AGIRE). «I premi per la pace si devono dare sulle realizzazioni concrete per la promozione della pace», come dire, «meglio aspettare che la nave arrivi al porto prima di premiarla per aver preso la giusta rotta». Troppo presto, insomma, per giudicare una presidenza: «Obama va valutato non sulla nuova spinta progressista ma sui risultati» anche perchè gli Stati Uniti «sono nella posizione di perseguire soluzioni concrete e non soltanto di dare segnali positivi. A un grande potere corrisponde una grossa responsabilità». Conclude Bertotto: «La strada è ancora lunga, e oggi siamo solo all’inizio».
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