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Un Nobel che ci mostra come uscire dalla guerra

Sono convinta che nella storia delle tre organizzazioni premiate c'è il segreto non solo di come uscire da questa guerra, e cosa e come fare perché simili orrori non si ripresentino, ma anche su come riportare la convivenza civile anche nelle nostre democrazie asfittiche, sempre più travolte da crisi e conflittualità sempre più fuori controllo. Un Nobel che ci può insegnare molto. Non sprechiamolo

di Marianella Sclavi

Abbiamo molto da imparare dalle tre organizzazioni della società civile di Fed Russa, Bielorussia e Ucraina, alle quali è appena stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 2022. Grazie a questo Premio, potranno finalmente raccontarci "in prima pagina" la loro storia e vicissitudini, farci partecipi delle loro analisi, azioni e iniziative, ampiamente sconosciute anche da noi. Sono convinta che nella loro storia c'è il segreto non solo di come uscire da questa guerra, e cosa e come fare perché simili orrori non si ripresentino, ma anche su come riportare la convivenza civile nelle nostre democrazie asfittiche, sempre più travolte da crisi e conflittualità sempre più fuori controllo.

Mi limito qui a indicare due direttrici sulle quali il loro modo di operare e la loro esperienza risulta fondamentale per mettere fuoco il ruolo del società civile oggi, nel 21mo secolo.

  • La prima: queste organizzazioni sono delle raccoglitrici di "casi", di testimonianze, di denunce circostanziate, dei raccoglitori di dossier con nomi, cognomi di persone in carne ed ossa, con date e luoghi dove l'offesa ai diritti dell'uomo viene perpetuata. In un rapporto di stretta relazione personale, fiduciaria con le vittime, non solo rivendicano/esigono, il riconoscimento in generale dello "stato di diritto", ma incominciano da subito a mettere in atto la sua specifica e altrettanto contingente e immediata applicazione. Questo implica tutto un circuito di solidarietà, di messa in opera della assistenza e riparazione direttamente su un piano sociale che precede e procede autonomamente e parallelamente alla rivendicazione sul piano giuridico. Questo lo potremmo chiamare il "metodo della denuncia circostanziata" e della soluzione (anche se provvisoria) altrettanto circostanziata.
  • La seconda direttrice è sintetizzabile in una specie di aforisma che ho coniato anni fa assieme a Rossana Rossanda oggi più attuale che mai: "più il capitalismo va avanti, più assomiglia al feudalesimo". Un esempio concreto, attuale. In una trasmissione di Atlantide, di Andrea Purgatori, è stato trasmesso un filmato di un viaggio di Zelensky da poco eletto, nel Donbass. Aveva promesso che avrebbe posto fine al conflitto in corso. Zelensky incontra gruppi di donne che lo invitano nelle loro case e gli mostrano come sono costrette a vivere a causa della violenza in corso. Tutte chiedono il ritiro delle truppe militari sia di uno schieramento che dell'altro. Poi c'è l'incontro del neo eletto presidente con i suoi soldati che stanno operando nel Donbass, ai quali dice: "La popolazione mi chiede che ve ne andiate". E loro: "A noi dice il contrario". Zelensky: "Ma io sono stato eletto, sono il vostro capo e vi ordine di ritirarvi". Fine del filmato. Il problema che rimane aperto è: chi e come oggigiorno ha la autorevolezza e la forza di far eseguire questo ordine? Per "feudalesimo" qui si intende dunque l'assenza di istituzioni statuali, governative, in grado di esercitare il monopolio dell'uso della violenza legittima. Contrariamente agli slogan più correnti, il fallimento sia nell'impedire la guerra sia nel porvi fine, non è dovuto alla mancanza di negoziati, ma alla incapacità di far valere il contenuto dei negoziati una volta sottoscritti da tutte le parti in causa (come gli accordi di Minsk 1 e Minsk 2 , nel 2014 e 2015) . E quindi non è una questione solo di "volontà", è quella che Stefano Zamagni ha chiamato "institutional failure", alla quale ormai si può mettere riparo solo con una idea di democrazia nella quale sistematicamente viene dato spazio alle diagnosi circostanziate dei cittadini e alla loro capacità di collaborare nella ricerca di soluzioni e progetti altrettanto circostanziati.

Tutto questo per dire che l'elogio astratto alla società civile, allo stato di diritto e l'appello ai negoziati, l'inchino al coraggio di fronte alle minacce, al carcere, e perfino all'omicidio di stato… vanno benissimo. Ma senza quella attenzione per i casi concreti che le organizzazioni premiate ci metteranno sotto il naso, e al loro "protagonismo a prescindere", questo Nobel rischierà di essere una ennesima stupenda occasione sprecata.

foto: Ales Bialiatski, al centro con i responsabili delle altre due organizzazioni premiate: a sinistra Alexander Cherkasov, presidente della ong russa Memorial e, a destra, Oleksandra Matviichuk, responsabile del Centro per le libertà civili ucraino

* sociologa, membro della Fondazione Alexander Langer

Lunedì 10 ottobre il Mean (di cui fa parte Marianella Sclavi) presenterà i Gemellaggi di pace e di difesa dei beni culturali.

► Quando: Lunedì 10 ottobre alle ore 11,00

► Dove: sulla pagina Facebook di Vita: qui

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