Sostenibilità
Un nemico chiamato erosione
Ecomondo /l'editoriale. L'erosione sta, quasi ovunque sugli 8mila chilometri di coste, imperversando
Sono ormai partiti i riti della balneazione. Si susseguono a ritmo serrato le classifiche, le pagelle, le bandiere blu, le vele, le golette verdi per indicare all?umanità talassofila i posti dove sia più facile e sicuro sottoporsi alla religione della tintarella. E chi se ne frega di colibatteri fecali, di metalli pesanti, di melanomi fulminanti, di meduse assassine e di improbabili squali: il popolo vacanziero sceglie da anni ormai il mare, lasciando le miti e serene vacanze in montagna a esangui filosofi o a ambientalisti ascetici capaci di esaltarsi alla vista di un?aquila e di una pulsatilla e del tutto tetragoni alle bellezze in tanga, al rombare dei fuoribordo e al beach volley.
Il guaio è che oltre ai pericoli già sadicamente enunciati, sulla vacanza al mare incombono previsioni non ottimistiche. A parte gli inquinamenti che, nonostante tutto, non fanno ampliare la percentuale dei tratti di mare balneabili, l?erosione sta, quasi ovunque sui quasi 8mila chilometri di coste, imperversando.
La regimazione dei torrenti e l?inarrestabile ritorno della foresta nei coltivi ormai abbandonati stanno, assieme al prelievo, legale o meno, di sabbie e ghiaia dagli alvei fluviali, esponendo alla corrosione delle onde gli arenili.
Così, come denuncia il Cnr, il 42% dei litorali nazionali versa in condizioni critiche. E basta percorrere a volo d?uccello le spiagge per vedere come oramai molte di esse siano chiuse verso mare da barriere artificiali e pennelli che lasciano a disposizione dei bagnanti stagnanti baiette, mentre l?erosione si sposta a rosicchiare altri lidi. E il ripascimento con sabbie prelevate a grande profondità non risolve i problemi.
Eppure le spiagge e gli arenili costituiscono un patrimonio turistico (e quindi economico) insostituibile. Occorre perciò fare il possibile per renderle appetibili alle centinaia di milioni di vacanzieri che fanno del Mediterraneo estivo la meta più frequentata al mondo.
Creare nuovi depuratori e far funzionare quelli esistenti, vietare usi incompatibili come le moto d?acqua o la pesca sotto costa, fermare con ogni mezzo (come ha fatto la Regione Sardegna) l?edilizia residenziale entro i due chilometri dalla battigia, sistemare i porti turistici esistenti e non crearne di nuovi danneggiando i litorali, sottoporre qualsiasi opera a mare a severi procedimenti di valutazione di impatto ambientale.
Un?altra priorità è costituita, per il WWF, dalle aree protette. Per il nostro Mediterraneo, accanto ad aree vaste più o meno salvaguardate come il Santuario dei Cetacei nel Mar Ligure o come l?area nel mare delle Pelagie ove si tenta di creare un?area protetta, le riserve veramente efficienti non sono molte e in genere piccole e poco gestite.
Accanto a esempi veramente brillanti come le Riserve marine di Port Cros in Francia, delle Isole Medas in Spagna e di Miramare in Italia, tutte le altre stentano a decollare, strette come sono tra l?inefficienza e l?indifferenza dei governi e le resistenze dei pescatori e degli imprenditori.
In generale, l?Italia soffre dei mali che interessano l?intero Mediterraneo: un inquinamento diffuso e in aumento (sia organico sia legato alle industrie) una fortissima pressione antropica sulle coste, uno sfruttamento delle risorse ittiche spesso oltre il livello di sostenibilità.
Fulco Pratesi
presidente WWF Italia
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