Volontariato

Un natale povero più del primo

Betlemme. Viaggio in una città allo stremo. Disoccupazione, miseria, coprifuoco, violenza. Ma anche volontari italiani che gestiscono un forno di solidarietà

di Barbara Fabiani

Betlemme senza pellegrini è irriconoscibile. Da quando è scoppiata la seconda Intifada, nel settembre 2000, e la reazione israeliana si è fatta più dura, i pellegrinaggi verso la città del Natale si sono interrotti. A Betlemme, che da secoli vive intorno al presepio, non c?è più lavoro. Alberghi chiusi, ristoranti che non vedono avventori da mesi, tassisti che girano a vuoto per le strade in cerca di facce straniere, metà dei negozi hanno abbassato le serrande e quelli aperti hanno ben pochi clienti. I frati francescani, che sono i custodi dei luoghi santi, ammettono che negli ultimi sei mesi a Betlemme non sono arrivati più di cento pellegrini. La coda ai check point Daniele Parassini, volontario del Vis, ong vicina alle opere salesiane, è da poco ritornato dalla città dove ha supervisionato la costruzione di una scuola; non si aspettava certo un clima di festa, ma neanche quello che ha visto: «Non so dire se ci sia più rassegnazione o disperazione tra gli abitanti, specie dopo gli ultimi attentati a Gerusalemme e Haifa che hanno spinto gli israeliani a colpire anche Betlemme. Ma soprattutto è preoccupante l?impatto della crisi sul tessuto economico della città», racconta. «Le vetrine sono piene di Bambin Gesù, di personaggi del presepe e di oggettistica con la scritta ?Betlemme 2000 Millennium?, andata invenduta dal Natale scorso». E se non si vende, non si fabbrica neanche: gli artigiani che lavorano il legno d?ulivo e la terracotta, da mesi hanno smesso di produrre. Dai camerieri ai decoratori di souvenir, oggi la disoccupazione colpisce la maggioranza dei betlemiti. Al pari di altre città palestinesi, l?economia è in ginocchio. Secondo l?Unesco, l?osservatore speciale delle nazioni unite, il 50 per cento della popolazione palestinese negli ultimi 14 mesi ha guadagnato meno di due dollari al giorno: in altre parole, un palestinese su due si è messo in tasca 500 dollari in tutto, in un anno. Dei 130mila palestinesi che nel 2000 svolgevano un lavoro in Israele, oggi se ne contano solo 30mila. A Betlemme, città da 40mila abitanti, il 70 per cento della popolazione attiva è disoccupata. In passato, migliaia di betlemiti vivevano facendo i pendolari nella vicina Gerusalemme, distante meno di dieci chilometri. «Ogni mattina all?alba, lungo le strade che portano fuori città si ripete il tentativo di superare i posti di blocco israeliani verso Gerusalemme», racconta Parassini, sottolineando che le periferie delle due città sono così vicine che quasi si confondono. «Ai check point ci sono giovanissimi soldati israeliani, che non avranno più di vent?anni, con grossi fucili a tracolla e modi duri. Controllano i documenti di lunghe file di palestinesi e fanno passare solo i pochi che hanno un lavoro regolare a Gerusalemme. Qualcuno cerca di passare per i campi, con il rischio di essere fermato e costretto a lasciare le impronte digitali. La tensione è altissima, c?è paura e rabbia da entrambi i lati», aggiunge Parassini. I posti di blocco condizionano anche il trasporto delle merci. Da Ramallah a Betlemme, passando per Gerusalemme, un camion impiega non meno di due ore, e ben quattro se cerca di aggirare i check point passando attraverso i territori, con la conseguenza che i costi delle merci aumentano. La sporta dei pani Come il pane, per esempio. Ogni mattina da Via della Stella, nel centro di Betlemme, sale un profumo di filoni appena sfornati. Dalla bottega del forno dell?Opera dei Salesiani esce Soher, ragazza palestinese poco più che ventenne, tenendo tra le braccia una sporta con otto pani, un chilo e mezzo in totale, e nella tasca una tessera con scritto sopra il nome della sua famiglia, composta da nove persone. Sono 170 le famiglie cristiane e musulmane in gravi difficoltà alle quali, da marzo, i Salesiani distribuiscono pane gratuitamente. «Diamo un aiuto ai nuclei numerosi come quello di Soher, il cui padre è anziano e i due fratelli maggiori, sposati, hanno perso il lavoro», spiega don Prospero Roero, direttore dell?opera salesiana ?Gesù Bambino?, presente a Betlemme dal 1863. «Abbiamo distribuito tessere per il ritiro del pane anche agli ammalati e ai disabili che vivevano con l?aiuto dei figli che lavoravano in Israele». I Salesiani non sanno dire per quanto tempo ancora riusciranno a sostenere la distribuzione dei pani, che costa loro sette milioni di lire al mese. Ad aggravare le difficoltà c?è il fatto che gli introiti del forno sono sempre serviti a integrare le spese della scuola di formazione professionale gestita dalla congregazione, tanto più che molti studenti da circa un anno non riescono a pagare la retta. Ora che la metà della produzione di pane è destinata ai poveri, ne risente anche la conduzione della scuola, in particolare si fatica a mantenere regolari gli stipendi degli insegnanti. E con un clima natalizio decisamente sotto tono, i problemi si fanno più pesanti. Curiosamente, Beit Lehem in ebraico significa ?casa del pane?, ma gli arabi cristiani la chiamano con affetto ?casa della culla?. Betlemme è città cristiana in terra di Islam, un esempio di convivenza tra musulmani e cristiani palestinesi. Fino al 1948, anno della dichiarazione dello stato d?Israele, qui i cristiani erano il 75 per cento (quando arrivarono 22mila profughi palestinesi, tre volte la popolazione di allora); oggi sono 10mila, per lo più cattolici, greco ortodossi e siriaco ortodossi. Durante l?anno non è raro vedere anche i musulmani accanto ai cristiani nel luogo della Natività, venuti a onorare il profeta Issa, ossia Gesù. Con quindici chiese e istituzioni ortodosse e venticinque latine, si può dire che a Betlemme il Natale si festeggi per un mese intero. Negli anni passati, migliaia di pellegrini riempivano le sue strade fino al 19 gennaio, Natale e Epifania degli armeni. «Il culmine delle celebrazioni, che si aprono con l?entrata solenne del Patriarca di Gerusalemme accompagnato fin alla piazza della basilica della Natività da una folla di popolo, è la vigilia e il Natale latino», racconta Roero. «Prima dell?intifada nel corteo sfilavano più di un migliaio di scout da tutta la Palestina e la sera c?erano cori natalizi provenienti da tutto il mondo». Il suk di Betlemme, però, continua a essere popolato di gente, anche se non si fanno affari. La mattina, dalle case e dai pochi locali aperti si diffonde la musica delle radioline. E in questo mese di dicembre, la gente va ritardando sempre più quel ?coprifuoco volontario? che li faceva rientrare dalle strade a cominciare dalle tre del pomeriggio. Malgrado tutto, anche quest?anno arriverà il Natale. Info: Per aiutare il forno dei Salesiani e la gente di Betlemme: Vis, tel. 06.516291 c/c postale 88182001 intestato a Volontari italiani per lo sviluppo, causale: Betlemme


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