Mondo

Un missionario come c.t.

Il Wolaita milita in serie B locale ma ha sconfitto i club piu' quotati . E ha partecipato alla Coppa d' Africa .

di Roberto Beccaria

Il calcio non è tutto nella vita. Lo sanno gli juventini, vice campioni d?Europa, e gli interisti, vice campioni d?Italia. Eppure, in Etiopia, c?è qualcuno che col pallone ha ritrovato la vita. Altro che serie A, Coppa campioni o Coppa del mondo. Laggiù si tratta di giocare a pallone per far rinascere un Paese. Dimenticato da tutti, ma non dai missionari. La storia è ambientata in una missione francescana del Corno d?Africa. Guidata da padre Gino Binanti, 54 anni, spesi al servizio di Dio e degli uomini. Arrivato nella missione vicino ad Addis Abeba, non ha fatto che applicare le teorie calcistiche imparate in Italia. Non a Coverciano, ma in un oratorio maceratese. La casa madre di padre Gino, infatti, è a Recanati, a pochi chilometri dal santuario della Madonna di Loreto e terra natale di Giacomo Leopardi. Da dove padre Gino è partito due anni fa per andare in missione. E laggiù ha organizzato una squadra di 22 elementi, di età compresa tra i 16 e i 25 anni. Dilettanti allo sbaraglio, iscritti alla serie B locale. Ma capaci di vincere la Coppa Etiopia. Un po? come se da noi la Coppa Italia fosse vinta da una squadra di un oratorio della Bassa milanese. «Io di miracoli me ne intendo. E saranno state le preghiere dei confratelli a farci vincere la Coppa», quasi scherza padre Gino. Ma poi si fa serio: «Il problema, qua, è evitare che i giovani si perdano dietro alle mille contraddizioni di questo continente».
La squadra del Wolaita Tuussaa prende il nome dall?etnia della regione (Wolaita) e dal sostegno centrale della loro tipica abitazione (tukul). Una traduzione attendibile del nome della squadra è ?Pilastro del Wolaita?. Ed è proprio un pilastro quello che si è piantato in mezzo ai grandi club che hanno partecipato alla Coppa Etiopia. «Abbiamo girato il Paese, scarrozzati da un pullman che sembrava abbandonarci a ogni curva». Davide contro Golia, insomma. E proprio come nel racconto biblico, è stato il piccolo a sconfiggere i grandi. Così il Wolaita Tuussaa si è trovato a dover giocare su due fronti: oltre al campionato cadetto, anche la Coppa delle Coppe africana. «E lì si è vista la nostra piccolezza e inesperienza», ricorda padre Gino. «Nella Coppa delle Coppe siamo stati eliminati al primo turno dagli eritrei dell?Asmara, una squadra molto forte. In casa loro abbiamo perso solo uno a zero, mentre da noi gli abbiamo dato un bel filo da torcere. Fino a mezz?ora dalla fine della partita eravamo qualificati noi. Poi abbiamo ceduto». La partita è finita tre a tre e con l?eliminazione del Wolaita Tuussaa. «Ma in campionato abbiamo sfiorato la promozione in A. Salivano le prime tre e noi siamo arrivati quarti». E qui padre Gino si lascia andare a uno sfogo degno di Lippi o Simoni: «All?ultima giornata abbiamo perso due a uno per un rigore inesistente. Giocavamo contro la squadra che poi è arrivata terza. A noi bastava un pareggio e l?arbitro si è fatto intimorire dalla loro forza». Altro che Agnelli o Moratti. Laggiù non girano tanti soldi. Eppure le polemiche e le accuse sono da prima pagina della Gazzetta dello Sport.
E ora, quale futuro per il Woalita Tuussaa? «Stiamo cercando un po? di soldi per poterci iscrivere di nuovo al campionato di serie B. E questa volta siamo determinati ad arrivare alla promozione». Gli allenamenti riprendono in agosto. Sempre che padre Gino riesca a trovare i quattrini. «Abbiamo già un gemellaggio con la piccola squadra del San Giorgio di Pesaro, che ci dà magliette, palloni e tute. Ma servono soldi». Ct, presidente e manager padre Gino Binanti. «Ho contatti anche con il Parma e con il suo sponsor, la Parmalat. Ma non voglio dire di più, per scaramanzia», si schermisce padre Gino. «E poi io sono tifoso bianconero. Spero che la Juve sia disposta a darmi una mano». In un mondo dove girano miliardi, qualche liretta può essere importante, anzi fondamentale. «Per fare decorosamente il campionato nazionale», continua padre Gino, «basterebbero 50-60 milioni. Una cifra che un calciatore italiano guadagna in un solo giorno. Non chiedo molto, ma per noi è tutto». L?alternativa è tornare a giocare da amatori, senza un obiettivo, senza vittorie e senza sconfitte. Senza la magia del calcio, insomma. Ma ormai la missione ruota attorno al pallone. Anche per il lavoro. «Organizzazione delle trasferte, pubbliche relazioni e allenamenti hanno dato lavoro a molti». Proprio come in Italia. Il prossimo obiettivo di padre Gino è quello di organizzare una ?primavera?, per crescere giovani campioni secondo le teorie del ct francescano. Zona quattro-tre-tre, pressing tutto campo e aggressività. Queste le regole di padre Gino Binanti. Perché il pallone non sarà tutto, ma per qualcuno è davvero tanto. ?

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