Sostenibilità

Un menù da 570 milioni. Ipermercati, un’idea anti spreco

Cibi & rifiuti. Ogni anno nei grandi centri commerciali vengono buttati alimenti per oltre 1000 miliardi di lire. A Bologna tre studenti e un docente hanno studiato il fenomeno.

di Giampaolo Cerri

Oltre un milione e 136mila euro. Sprecati, gettati al macero, in discarica o in un bell?impianto di compostaggio , smaltiti secondo tutti i crismi insomma, ma buttati. Sì perché questa cifra è il corrispettivo monetario della merce che un ipermercato medio – 4.500 metri quadri dedicati all?alimentare e con circa 2 milioni di clienti all?anno – deve trattare come rifiuti. «Sono prodotti vicini alla scadenza, mal confezionati o dagli incarti difettosi o rotti», spiega Luca Falasconi, 30 anni, bolognese, dottorando in Scienze agrarie. Le cifre sin qui esposte provengono da un lavoro di ricerca che, insieme a un docente di Economia agroalimentare, il professor Andrea Segrè, ha scritto per FrancoAngeli: Abbondanza e scarsità nelle economie sviluppate e che sarà a breve in tutte le librerie. Ma il libro è solo un dettaglio, e se vogliamo marginale, di questa storia. «Tutto nasce da una lezione in facoltà», spiega Falasconi, «il professor Segrè chiamò Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco alimentare, a raccontarci il lavoro della sua organizzazione e la capacità di spreco della grande distribuzione». Lo scialo e lo shock Era il 1998 e gli studenti scoprirono che ogni giorno quel grande centro di vendita dove si affollavano schiere di consumatori, mandava al macero frutta, verdura, scatolame, biscotti. Cibo che diventava rifiuto. Una strage silenziosa di alimenti e non solo. Fu la visione scioccante di questo scialo malapartiano, che indusse Falasconi e altri suoi colleghi, Sabrina Morganti e Matteo Guidi, studenti di Scienze agrarie come lui, a «tentare di escogitare qualcosa». Col professore individuano un grande ipermercato bolognese e chiedono di fare una ricerca sul campo: recarsi quotidianamente nel centro di vendita, rilevare quantitativamente il materiale scartato, valutare la parte salvabile e attribuirle un valore, sulla base del prezzo di vendita. Inoltre il pool studia anche i costi di smaltimento: almeno 15mila euro all?anno fra trasporto e tasse. «A queste cifre deve aggiungersi il lavoro di scarico della contabilità di magazzino», che gli addetti dell?ipermercato devono svolgere. Non solo cibo quindi, ma anche risorse finanziarie al macero. L?osservazione accurata – giorni festivi compresi – fornisce un quadro economicamente certo nel quale sviluppare il progetto. Che è un paradosso economico: «L?idea è di fare incontrare questa ?non-offerta? di prodotto, con una ?non-domanda?, quella dei bisognosi, attraverso le associazioni che li assistono». Lo svolgimento è semplice: un addetto della onlus creata ad hoc, Last minute market di cui Falasconi è presidente, lavora quotidianamente presso il centro commerciale, seleziona la merce, scarica la contabilità, predispone i ritiri da parte delle associazioni. Il tutto sostenuto anche da un regolamento di igiene che Last minute market ha messo a punto «e che è stato approvato dalla Asl di Bologna», chiarisce Falasconi. Lo stipendio del ?recuperatore? dovrebbe esser pagato dallo stesso ipermercato, grazie alle economie che il progetto genera.Un modello esportabile, dicono a Bologna. Per questo si sono alleati alla Fondazione Banco alimentare che, dal 1989, si occupa di ritirare merce invenduta (ma non alimenti freschi), distribuendola alle associazioni. «Il progetto, che abbiamo chiamato Everyday.eat (e cui è dedicato un convegno a Bologna il 25 ottobre, ndr)», dice il presidente, «funziona solo per strutture da 4mila metri quadri in su. Perquelle più piccole, la produzione di scarti non giustifica la presenza quotidiana di un addetto». Salvare i polli Per Everyday.eat adesso viene l?ora della sperimentazione: «Inizieremo con i progetti pilota, insieme al Banco alimentare. A Bologna, entro il 2002, con l?ipermercato di Coop Adriatica. Altri seguiranno in Sicilia, Lombardia e a Roma». «Abbiamo aderito con interesse», spiega Walter Dondi, direttore Politiche sociali di Coop Adriatica, «siamo sensibili al problema degli sprechi e ci auguriamo che la sperimentazione possa esser positiva, per estenderla in tutte le strutture». La joint-venture sociale, secondo il direttore della Fondazione Banco alimentare, ha un notevole valore aggiunto: «È il frutto della cooperazione di 13 anni di esperienza con la ricerca, dell?operatività con il mondo scientifico. Un accordo che ha anche valore culturale». Nel frattempo la legge del ?Buon samaritano?, quella che consentirà a ristoranti ed esercizi commerciali di cedere alle associazioni i cibi cotti avanzati, e il cui disegno governativo è già stato licenziato dalla Conferenza Stato-Regioni, potrebbe offrire a Last minute market e Banco alimentare nuove chances. «Vero», dice Falasconi, «non si ha idea dei polli arrosto che un iper deve mandare in discarica». Nell?attesa, Sabrina Morganti si è recata a New York per studiare City Harvest, charity che raccoglie dai ristoranti il cibo per indigenti. Intanto si guarda ai grandi numeri della distribuzione italiana. «Gli ipermercati sono 520. C?è cibo per 570 milioni di euro, potenzialmente recuperabile». Altro che rifiuti. I progetti e le ricerche della onlus bolognese si trovano all?url www.lastminutemarket.org


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