Mondo

Un lùstro senza lustro

Nel 1997 il sostegno pubblico ai Paesi del Sud del mondo si è fermato allo 0,11% del Prodotto nazionale lordo. Come trentaquattro anni fa.

di Paolo Giovannelli

L’Italia è un Paese curioso. E confuso. Così nella politica. Così nel campo della cooperazione allo sviluppo, dove in cinque anni la situazione è solo peggiorata. Nonostante la legge di riforma (che dopo un lungo travaglio ha avuto il suo primo sì al Senato l’ottobre scorso), la rinascita della cooperazione italiana appare ancora un miraggio. Basta guardare le cifre. A livello mondiale gli investimenti per gli aiuti allo sviluppo nei Paesi poveri ha raggiunto il suo minimo storico nel 1997 con 47 miliardi di dollari. L’Italia dal canto suo si mantiene fra gli ultimi Paesi in classifica per gli aiuti allo sviluppo, con un investimento che varia fra lo 0, 11 e lo 0, 15%. E, nonostante le stime per il ’99 rivelino un piccolo trend positivo che ha fatto risalire i fondi per gli aiuti fino allo 0,20, siamo ancora lontani dall’impegno che il nostro Paese prese alla fine degli anni ’70 in sede Onu: e cioè raggiungere la soglia della “decenza” dello 0,7% del Pnl. Per non parlare della cooperazione dei doni, quelli gestiti dalle organizzazioni non governative, che nel 1997 contavano solo su 437 volontari contro i 2795 del 1995 (dati forniti dai Volontari del mondo-Focsiv, una delle reti principali di ong operative fin dal 1970). Insomma, guardando agli ultimi quattro anni e mezzo di politiche per la cooperazione allo sviluppo, (seguiti passo per passo dal nostro giornale), viene un po’ di nostalgia. Dal governo presieduto da Massimo D’Alema, passando attraverso Prodi, Dini fino a Berlusconi, l’atteggiamento è stato sempre lo stesso: quello di giocare a rimpiattino, dicendo a parole (soprattutto davanti ai ciclici cicloni dei Balcani) che bisognava andare alla radice dei problemi, ma nei fatti la lotta alla povertà e al sottosviluppo non è mai stata una priorità. Altri dati: nel 1996 la quota stabilita dalla Finanziaria per gli aiuti allo sviluppo, detta in gergo Aps, era dello 0,2 del Pnl. Nel ’95 era dello 0,15 e nel ’94 (l’anno dei processi contro la malacooperazione) si è arrivati fino a 0, 27. E Susanna disse: siamo al fondo Nel 1995 l’allora ministro degli Esteri, Susanna Agnelli, dichiarò: «Quest’anno gli aiuti allo sviluppo hanno toccato il fondo». Non sapeva, l’ignara ministra, che il peggio doveva ancora venire. Il 1989 non è stato indimenticabile solo per la caduta del muro di Berlino, anche la cooperazione ha vissuto momenti emozionanti: la quota ha raggiunto la mitica soglia dello 0, 42 del Pnl, pari a 3345 miliardi di lire! Poi il nostro governo ha detto e ripetuto di voler raggiungere la soglia raccomandata dalle Nazioni Unite (0,7), ma fino ad oggi non è successo niente. «Se prendiamo come punto di riferimento il 1997, che è stato l’anno più nero, allora è vero che oggi registriamo un trend positivo», dice Raffaele Salinari, il presidente nazionale del Coordinamento delle ong per la cooperazione internazionale e lo sviluppo (Cocis). «Ma non è sufficiente, anzi è troppo poco e non mi riferisco solo alle cifre ma anche agli impegni politici mancati: dal partenariato euromediterraneo fino alla ricostruzione nei Balcani e ai rapporti con i Paesi del Corno d’Africa o il Medio Oriente. É chiaro», conclude Salinari,«che se alla nuova legge non saranno date gambe per camminare, allora stiamo di nuovo discutendo di nulla». Per Eduardo Missoni, presidente di Adocs, l’associazione degli operatori della cooperazione allo sviluppo, la piccola ripresa che si è registrata nel 1999 avrà senso solo in presenza di un’organizzazione che garantisca in futuro l’uso qualitativo delle risorse. «Ma poiché, ciò non è ancora dato a a sapere», ironizza Missoni,«ciò che conta adesso è che si arrivi presto a una nuova organizzazione professionale ed autonoma, libera dalle pressioni della Farnesina. Altrimenti, anche il progetto atteso dell’Agenzia per la cooperazione, (previsto dalla legge, ndr) si rivelerà solo un’inutile pennellata alla facciata». D’accordo anche Sergio Marelli, direttore generale di Volontari nel mondo-Focsiv che dice a “Vita”«Anche noi siamo molto preoccupati e perciò dobbiamo stare attenti e osservare cosa accadrà al testo di legge una volta arrivato alla Camera. Ricordiamoci che la ripresa degli aiuti è una notizia che va presa con le pinze. Del resto, lo stesso ministro degli Esteri ha riconosciuto recentemente che il governo italiano è molto lontano dall’obiettivo 0,7% del Pnl stabilito dall’Onu, che i Paesi scandinavi hanno già superato da tempo». Dove sono finiti i volontari? Secondo dati Focsiv, i volontari della cooperazione, dal 1970 ad oggi, sono stati 12.749. Oggi sono solo una manciata, poco più di 400. Perché? Cos’è successo? Per Marelli la causa è stata la paralisi che si è creata all’interno del ministero degli Affari esteri nell’approvazione dei progetti.«I nostri volontari internazionali non avevano nessuna garanzia né prospettiva di poter continuare a lavorare nei progetti, una volta tornati in Italia. Perciò speriamo di poter spezzare il legame fra la volontà della Farnesina e gli obiettivi dei volontari inviati che invece dovrebbero essere riconosciuti come soggetti della cooperazione. Inoltre negli ultimi anni le ong hanno subito drastici tagli e quindi anche il numero dei volontari è crollato». Nella Finanziaria in corso, il governo aveva promesso alle ong quasi 100 miliardi ma, al momento, la cifra è scesa a 60. Un voltafaccia che ha provocato la protesta dei cooperanti. «Una situazione ancora più scandalosa», conclude Marelli,«se si pensa ai discorsi dei politici in cui viene ribadita la centralità del ruolo del volontariato nella cooperazione internazionale». In realtà la cifra stanziata quest’anno corrisponde circa al doppio della quota stabilita lo scorso anno.«Ma ciò è ancora pura teoria», aggiunge lo stesso Salinari. «Perciò voglio dire attraverso le colonne di “Vita” che noi siamo, sin d’ora, assolutamente consapevoli che questa cifra andrà difesa. Presidiata strenuamente. Perché sono sicuro che ci sarà un duro attacco e in molti vorranno appropriarsi dei finanziamenti delle organizzazioni non governative. Esattamente come avvenne lo scorso anno». Ora, sul futuro della cooperazione (e la riforma) italiana, pesano ombre, dubbi e molti interrogativi. Anche nel 1987, quando venne varata la prima legge sulla cooperazione, tutti dissero «finalmente, ora possiamo entrare a testa alta nella comunità internazionale». Poi andò come andò: ci furono ruberie, truffe, valanghe di miliardi svaniti nel nulla a discapito della tragedie del Terzo mondo. Sono stati in pochi, (come sempre) a pagarne le conseguenze. Poi (ancora come sempre) c’è stato il solito colpo di spugna. Ammesso che la nuova riforma della cooperazione giunga presto in porto, cosa succederà al passaggio di consegne fra l’attuale Dgcs della Farnesina e la futura Agenzia che gestirà la cooperazione italiana? «La nuova cooperazione potrà funzionare solo con la totale separazione dei due momenti, quello politico e quello di attuazione degli indirizzi. Se mai ci sarà realmente», afferma scettico ancora il presidente Eduardo Missoni. Nel frattempo ha perfettamente ragione il direttore della Dgcs, Petrone, nel volersi affrettare a misurare l’efficacia dei programmi della cooperazione italiana. Perché, tanto, dopo l’ultimo controllo del 1996, dal quale l’Italia non ne è uscita certo elegantemente, questa sarà ancora verificata nel Duemila, sul piano internazionale, dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).


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