Oggi lascio il mio spazio a una lettera che ho ricevuto da una giovane donna laureata in scienza della formazione, con un curriculum ricco di esperienze. Cinzia Rossetti vive in provincia di Brescia, ha una disabilità fisica, non so quale sia il suo problema, nella lettera non lo precisa, ma è evidente da come scrive che riesce ampiamente a compensarlo con la cultura, l’intelligenza, l’applicazione, la volontà, gli ausili, la rete delle persone. E’ dunque una persona perfettamente in grado di lavorare e dunque di essere retribuita regolarmente, in modo adeguato alle sue competenze. Ora Cinzia non ci sta più, vuole fare un altro passo, anche questo è un suo pieno diritto, ovvero crearsi una vita indipendente, avere una propria abitazione, una propria autonomia. Cinzia ha 37 anni. Vi sembra una richiesta assurda alla nostra società? Io penso che qualche riflessione il mondo delle imprese la debba fare. Se non si dà un lavoro dignitoso a una persona come Cinzia, a chi lo si deve dare? Ma anche il mondo del non profit deve riflettere seriamente. Dalla lettera di Cinzia capisco che il suo impegno, il suo tempo, sono stati usati a piene mani, in progetti di formazione, in master, in attività a metà strada fra il volontariato e l’impresa sociale, ma nessuno si è posto il problema di come garantire a Cinzia un lavoro dignitosamente retribuito, in modo tale da consentire pienezza di vita. Mi piacerebbe leggere risposte intelligenti, e magari qualche seria offerta di lavoro, in modo da smentire il pessimismo delle sue riflessioni. Ma vi lascio alle sue parole. Educate ma fermissime.
“Cari lettori,
Vi scrivo per far conoscere la situazione che sto vivendo come persona e donna con una disabilità fisica e la realtà del mondo lavorativo e culturale nel riconoscere una persona diversa nella nostra società.
Nel 2001 mi sono laureata in Scienze dell’Educazione all’Università Cattolica di Brescia e come i miei compagni di corso, al termine degli studi, ho iniziato ad inoltrare domande di lavoro nelle varie cooperative sociali a cui nessuno ha risposto. Mi sono resa conto che, pur avendo svolto un percorso formativo come tutti, con la presenza di una disabilità fisica dovevo continuare a fare esperienze in ambito educativo e sociale e trovare un servizio per farmi conoscere. Infatti, dopo qualche mese dalla laurea, ho cominciato a svolgere un tirocinio professionale presso un servizio che individua e coordina specifiche azioni rivolte alle persone con disabilità dalla nascita in poi. Per la conoscenza e l’integrazione delle persone con disabilità, a partire dalle loro potenzialità nella scuola e nella società, gli operatori psico-sociali del sopracitato servizio promuovono da un lato progetti personalizzati, dall’altro reti di interventi sanitari/sociali e servizi differenziati: attraverso la condivisione di progetti che vanno dalla diagnosi e valutazione funzionale, lavorando con altri soggetti istituzionali e non.
Contemporaneamente mi sono iscritta ad un corso condotto dagli operatori del Centro Documentazione Handicap di Bologna e finanziato dal Piano di Zona della Bassa Bresciana, al fine di diventare animatore/educatore del Progetto Calamaio nelle scuole di ogni ordine e grado. Laspecificità del Progetto Calamaio è di essere stato ideato e realizzato da educatori e animatori diversabili. Il suo scopo è quello di suggerire percorsi di integrazione che consentano una comprensione della propria e altrui diversità e favoriscano un atteggiamento di apertura e disponibilità nei confronti degli altri. Dopo quattro anni di formazione teorica ed esperenziale nelle scuole, insieme ai partecipanti, fondai a Ghedi (BS) l’associazione Zanzebia che propone il Calamaio nelle scuole e nei vari contesti educativi, assunta con contratto a progetto in qualità di animatrice/educatrice. Questa esperienza lavorativa è stata ed è molto efficace perché svolgo appieno la mia professionalità, ottenendo dei buoni riconoscimenti dai colleghi e dai bambini, ragazzi, insegnanti e genitori a cui dedico la mia attività. Purtroppo non potei fermarmi a questa attività perché non mi garantiva una sicurezza economica di cui necessito per mantenermi e andare a vivere da sola, non dipendendo per tutta la vita dai miei familiari. E’ da otto anni che lotto come persona e donna per essere indipendente dalla mia famiglia: ora mi sono resa autonoma per diverse ore giornaliere, avvalendomi di due assistenti personali. Continuai a partecipare ad altri corsi come un Master biennale di studi, organizzato dall’Anffas di Brescia in collaborazione con l’università di Parma, sul “Ritardo Mentale e disturbi generalizzati dello sviluppo – Aspetti clinici, riabilitativi ed educativi” e feci altre esperienze formative e di volontariato per perfezionare le mie conoscenze e competenze nel mondo del sociale.
Due anni e mezzo fa mi sono accorta che gli anni passavano e le opportunità di trovare un lavoro sicuro diminuivano e ho riprogettato il percorso da intraprendere per avere accesso a questo mondo, prima frequentando un Master per la creazione e gestione di impresa dal titolo “Il tempo libero si fa impresa” rivolto a giovani disoccupati, al fine di creare e realizzare l’idea d’impresa prescelta, poi facendo un tirocinio lavorativo con la sperimentazione del sistema a puntatore oculare “Mytobii”. In conclusione nessuna delle due esperienze mi ha portato ad un lavoro. Nella prima, al termine della parte teorica, dovevamo avere o trovare fondi per realizzare l’idea d’impresa che prevedeva un’agenzia di consulenza per l’accessibilità dispazi esterni e interni naturali e non, partendo dalla realizzazione di un parco in cui tutti i bambini con le loro diversità potevano giocare. Non ho fondi miei e non ho trovato soci e finanziamenti e probabilmente l’impresa non era facile né da costituire né da mantenere. La seconda esperienza non prevedeva alcuna assunzione lavorativa ma solo la sperimentazione del puntatore oculare “Mytobii”: è stata utile perché sono diventata autonoma e adeguata nello svolgimento delle mansioni richieste, naturalmente non raggiungendo l’autonomia e la velocità di una persona cosiddetta “normale”. Alla fine comunque la mia produttività è stata valutata insufficiente per un’assunzione.
Ora mi ritrovo a dover ricominciare la ricerca e nuovi percorsi, che mi arricchiranno spero, ma il mio futuro, un futuro indipendente voglio dire, rimane un grande punto di domanda.
Ritengo di essere una donna che, pur avendo una disabilità fisica, ha molte conoscenze e competenze acquisite in questi anni che il mondo del lavoro non mi da la possibilità di mettere a disposizione, ricoprendo il mio ruolo professionale e assicurandomi una posizione nella società. Il mondo del lavoro è in grado solo di vedere il mio limite fisico e non va oltre: ha schemi mentali rigidi e rigide necessità e poca pochissima creatività. Scopro così che anche le menti “normali” hanno parecchilimiti.
Pertanto sono arrivata a scriverVi perché ogni strada che percorro per entrare in questo mondo mi è preclusa e sono disconosciuta come persona e donna professionalmente competente che desidera lavorare per conseguire la propria indipendenza. Forse qualche lettore imprenditore potrà essere stimolato dalla mia provocazione sulla creatività. Magari! E’ vero che sono molto riconosciuta come volontaria, in molti contesti, però non posso vivere solo di questa attività, ci vuole altro. A chi si batte tanto per la vita voglio ricordare: occupiamoci con altrettanta foga della vita nel rispetto totale della sua dignità.
Dott.ssa Cinzia Rossetti”
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